La ministra dell’ambiente dell’Ambiente e dell’Energia, Ségolène Royal, annuncia una moratoria immediata sulla ricerca di idrocarburi in mare. Troppo alti i rischi ambientali, Parigi chiederà che il bando alle perforazioni sia esteso a tutto il Mediterraneo. Meglio puntare su «strade solari», eolico off-shore e dimezzamento dei consumi entro il 2050
La ministra dell’Ambiente e dell’Energia, Ségolène Royal, ha comunicato ieri la decisione di mettere immediatamente in atto una moratoria sulle ricerche d’idrocarburi nel Mediterraneo. Il provvedimento è stato reso noto nel corso della seconda Conferenza Nazionale sulla Transizione Ecologica del Mare e dell’Oceano, tenutasi a Parigi. Il comunicato della ministra non lascia spazio ai dubbi. «In considerazione delle drammatiche conseguenze che potrebbero colpire tutto il Mediterraneo in caso d’incidente dovuto alle perforazioni petrolifere – si legge nel testo diffuso dal dicastero dell’ambiente – Ségolène Royal decide di applicare una moratoria immediata sulle ricerche di idrocarburi nel Mediterraneo, sia nelle acque territoriali francesi, sia nella zona economica esclusiva». Inoltre, la ministra Royal «chiederà che questa moratoria sia estesa all’insieme del Mediterraneo, nel quadro della Convenzione di Barcellona sulla Protezione dell’Ambiente Marino e del Litorale Mediterraneo».
La conferenza nazionale di ieri costituiva la seconda edizione di quella già tenutasi, sempre sul tema della transizione ecologica del mare, nell’agosto scorso. Come allora, anche ieri erano invitate Ong, accademici e vari operatori ed esperti. In quell’occasione erano state stabilite le cosiddette «dieci azioni per una crescita blu».
Ségolène Royal non è nuova a prese di posizione contro le energie non rinnovabili. Basti ricordare il suo intervento all’Assemblea Nazionale del 12 gennaio scorso, al suo rientro da New York, dove aveva incontrato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per dare corpo alle decisioni prese alla Cop 21 di dicembre. In quell’occasione, la ministra del governo Hollande aveva affermato che nessun ulteriore permesso di ricerca d’idrocarburi sarebbe stato accordato dall’esecutivo. «Se bisogna ridurre la quota di energie fossili, perché continuare ad autorizzare ricerche d’idrocarburi convenzionali?» si domandava allora la responsabile dell’ambiente. Secondo i dati del ministero, il 1° luglio 2015 si contavano 54 permessi di ricerca attivi e 130 domande di permesso in corso di valutazione.
Le sue parole non erano rivoluzionarie, ma davano semplicemente seguito agli obiettivi previsti dalla legge sulla transizione energetica dell’agosto 2015. Il provvedimento punta a dimezzare entro il 2050 il consumo totale d’energia della Francia, oltre a diminuire sino alla soglia del 30% entro il 2030 la percentuale di energia prodotta da fonti fossili non rinnovabili. Sempre per il 2030, al contrario, dovrà essere del 32% sul totale nazionale l’energia prodotta da fonti rinnovabili. In questa prospettiva, la ministra sta lavorando per una grande campagna di sostegno al fotovoltaico e all’eolico. Per quel che riguarda l’energia solare, meno di tre settimane fa, Ségolène Royal ha lanciato a Marsiglia il progetto delle «strade solari», cui saranno consacrati, per il momento, 5 milioni di euro, con l’ambizione di arrivare in cinque anni ad avere 1000 chilometri di pannelli fotovoltaici, su tutto il territorio nazionale.
Rispetto all’energia eolica, invece, il documento finale della conferenza di ieri, mostra una determinazione nell’implementare parchi eolici off-shore. Dieci progetti hanno vinto una gara d’appalto in questo settore specifico nel 2015. Un’altra gara d’appalto è stata lanciata per l’anno in corso. La zona individuata per l’installazione degli impianti fissi è a largo di Dunkerque, sul canale della Manica. L’Atlantico davanti alle coste bretoni e il Mediterraneo, ospiteranno, invece delle fattorie eoliche sperimentali galleggianti, si legge ancora nel documento conclusivo della conferenza.
Al di là della questione strettamente ambientale, quello che sembra, almeno sulla carta, un cambio di passo nell’approccio alla questione della protezione del mare, potrebbe avere ripercussioni interessanti per il settore della pesca. La moratoria, infatti, disinnescherebbe de facto una recente tesi, frutto della bizzarra convergenza tra petrolieri e alcune Ong ambientaliste, in base alla quale la pesca, senza distinzioni, sarebbe dannosa per l’ambiente marino.