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In occasione del 6° incontro della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta, previsto a Chianciano Terme (Siena) dal 13 al 16 novembre, il SIAL Cobas presenta tre contributi. Il primo testo ripercorre i principi fondativi e la pratica quotidiana del nostro sindacato, che si riconosce nell’autorganizzazione e nella gestione diretta da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione. Il secondo offre un quadro della situazione sindacale in Italia, segnata da una crescente precarietà, disuguaglianze salariali e restrizioni alla libertà di rappresentanza, ma anche da esperienze vive di resistenza. Il terzo approfondisce il settore educativo e dei servizi alla persona, dove la frammentazione contrattuale e l’esternalizzazione dei servizi richiedono una risposta collettiva: l’internalizzazione e il riconoscimento del valore pubblico del lavoro educativo. Con questi tre contributi vogliamo alimentare il confronto, anche internazionale, convinti che solo l’unità e la solidarietà tra lavoratrici e lavoratori possano costruire un’alternativa reale alle logiche del profitto e del capitale.
TESTO 1. PRESENTAZIONE SIAL-COBAS
Buona giornata a tutte e tutti. Il sindacato SIAL Cobas ha scelto come simbolo quello di un piccolo pezzo di un puzzle, ci consideriamo infatti solo una piccola parte del sindacato che oggi servirebbe alla classe lavoratrice del nostro Paese e per cui lavoriamo.
Non pensiamo di essere quindi da soli la soluzione ai problemi che la classe delle e dei lavoratori. Abbiamo molto da apprendere dalle esperienze di organizzazione che esistono e infatti ci rendiamo disponibili in qualsiasi momento a superarci e unificarci con tutte e tutti coloro che con una prassi unitaria e democratica possano fare con noi e con e tra i lavoratori la riscoperta e la costruzione di un nuovo sindacato democratico e gestito dai lavoratori e di una pratica sindacale che parta dai bisogni e interessi dei lavoratori. Ci richiamiamo alla esperienza del sindacato dei Consigli operai che dal 1970 al 1985 in Italia eleggeva i delegati dei lavoratori in azienda e per nuclei omogenei su scheda bianca e non legato a sigle sindacali (una preferenza a testa) e componevano il Consiglio di Fabbrica (CdF),questo tipo di organismo rispondeva quindi più ai lavoratori che non alle sigle sindacali e noi riteniamo rimanga lo strumento più idoneo per permettere l’autorganizzazione delle e dei lavoratori.
Il Sial Cobas nasce dentro la storia e le lotte del sindacalismo di base e alternativo in questo Paese. Consideriamo l’autorganizzazione e l’autogestione come modalità di esercizio del conflitto sociale da parte del lavoro salariato e come criteri a cui ispirarsi – e da praticare coerentemente – per disegnare i contorni di una società futura giusta perché libera da ogni forma di sfruttamento, oppressione, discriminazione e violenza. Siamo, nella nostra piccola ma significativa e utile realtà, un sindacato di classe, democratico, partecipativo e inclusivo, attento all’affermazione delle politiche di genere contro ogni forma di discriminazione ed esclusione, contro il sessismo e l’omotransfobia, contro il razzismo, lo sfruttamento del lavoro migrante, la corruzione e la devastanzione ambientale. In Italia il nostro impegno nei posti di lavoro si intreccia con le rivendicazioni territoriali, dalla Val di Susa, alla Terra dei Fuochi in Campania, al No Ponte in Sicilia. Siamo contro il riarmo, il colonialismo e al fianco dei popoli autoctoni.
Quello su cui siamo impegnati è proporre a tutte le realtà sindacali un coordinamento intersindacale dei delegati eletti dai lavoratori e avanziamo da tempo una proposta di intervento sindacale congiunto, coordinato ma verificato con i lavoratori attraverso elezioni di delegati, nominati sui contenuti delle rivendicazioni decisi in assemblea generale o anche on line dove non è praticabile l’assemblea. Questo metodo unitario dal basso che proponiamo riteniamo sia un passaggio utile e necessario per rendere efficaci le dichiarazioni e/o la partecipazione alla lotta e agli scioperi sia di azienda che generali promossi dai diversi sindacati di base.
Per concludere la libertà sindacale non è solo la possibilità di far nascere un (altro) sindacato e avere diritto di agibilità senza repressione e/o discriminazione. Avere le trattenute in busta paga, eleggere i delegati, le assemblee retribuite. Quello che manca è il diritto dei lavoratori di decidere in assemblea generale (di tutti) le richieste da portare al tavolo delle trattative e del governo e quindi di eleggere la delegazione trattante e poterla in ogni momento se inadeguata cambiarla. Inoltre, con l’occasione, proponiamo a tutte/i un sondaggio “Pensa alla salute” da realizzare tra i dipendenti per verificare quello che vivono (ed è disponibile in diverse lingue).
A livello internazionale proponiamo di portare una maggiore attenzione e verifiche collettive sulle modalità per migliorare salute, sicurezza e produzioni ambientalmente sostenibili. Per l’attività nelle multinazionali un interscambio di informazioni a partire da alcune realtà dove siamo presenti: Piaggio, Honeywell, Xerox, Wood, Sandberg Silanos e altre.
Partecipiamo alla “Rete sindacale Internazionale” e siamo qui a Chianciano per confrontarci e imparare. Riteniamo indispensabile agire sul piano internazionale per difendere gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici in ogni angolo del pianeta, superando le barriere nazionali e i confini.
Perché se il capitale è globale, il nuovo movimento del lavoro salariato portatore di una alternativa alla sua crisi e alla sua riorganizzazione deve essere internazionale.
Ringraziamo i presenti nella RSISL per il confronto che avremo in questi giorni e ci auguriamo di poter sviluppare migliori e profondi rapporti in futuro.
info@sialcobas.it www.sialcobas.it
TESTO 2. SCHEDA IN SINTESI SULLA SITUAZIONE IN ITALIA
In Italia al lavoro ci sono circa 24 milioni di dipendenti di cui 3 milioni nel pubblico impiego (con attività di servizio pubblico lavorano altre 500 mila: compresenti nei servizi privatizzati o consortili (esempio asili nido, scuola, sanità, handicap, ecc.) con diritti e salari inferiori. Gli altri si dividono tra agricoltura (1,5 milioni) industria (circa 5 milioni) e il resto nel commercio e servizi.
Nelle aziende con oltre 15 dipendenti vige lo statuto dei lavoratori che consente di eleggere rappresentanti sindacali e avere diritto a 10 ore di assemblea retribuita per tutti i dipendenti. Ai delegati eletti spettano permessi sindacali e oltre i 200 dipendenti anche un ufficio attrezzato. Circa 6 milioni sono in piccole aziende inferiori a 15 dipendenti senza diritti sindacali (no elezioni delegati e permessi sindacali né 10 ore di assemblee retribuite annue).
La difficoltà di sindacalizzazione e il peggioramento delle condizioni salariali e normative sono dovute anche al continuo aumento di forme di assunzioni (47), dal lavoro interinale (a somministrazione) che prevede lo staff leasing (ovvero assunzione a tempo indeterminato ma con la agenzia interinale). Alla precarietà si aggiungono i part time (spesso involontari). Le differenze di genere si vedono pesantemente sul part time: oltre 4 milioni convolte/i e 3 su 4 sono donne. Sul totale dei dipendenti i tempi determinati rappresentano il 12,5% ma il 25% tra i giovani fino a 34 anni.
La costituzione italiana (art. 39 e 40) prevede libertà di organizzazione sindacale (voti e iscritti) e di sciopero (non c’è una previsione di consistenza organizzativa per dichiararlo ma dal 1990 si sono succedute restrizioni con garanzie dei servizi minimi e limiti che soggiacciono alle prese di posizioni della commissione di garanzia). È di queste settimane un provvedimento di infrazione contro alcuni sindacati (Cgil, Cobas, ecc.) che hanno dichiarato lo sciopero molto partecipato del 3 ottobre 2025.
La legge attualmente in vigore prevede per avere diritti sindacali aggiuntivi la firma del contratto aziendale/nazionale ed è definita incostituzionale anche dalla Corte costituzionale in sentenze del 2013 e del 2025. Non tutti i sindacati presenti in azienda con iscritti hanno gli stessi diritti. Il padronato e le imprese possono scegliere chi far sedere al tavolo delle trattative contrattuali e accedere ai diritti sindacali (elezioni e permessi per delegati, assemblea retribuita, ecc.). Di fatto realizza una discriminazione (tra chi ha una forte presenza di iscritti, di partecipanti agli scioperi, insomma, un consenso evidente tra i dipendenti ma non ha firmato accordi sindacali ed è discriminata la sigla sindacale e i lavoratori privati del diritto di far contare i sindacati scelti da loro. La recente sentenza della Corte costituzionale n.156 del 30 ottobre 2025 aggiunge il criterio del sindacato “comparativamente rappresentativo a livello nazionale” non risolvendo realmente il problema della libera scelta dei lavoratori che a livello aziendale abbiano liberamente scelto altri sindacati neonati che nel tempo potrebbero arrivare alla consistenza prevista ma a cui non si dovrebbe negare diritti che ostacolano la libertà dei lavoratori di scegliere. Continua a mancareuna legge democratica per eleggere i delegati sindacali dei lavoratori e sulle libertà sindacali. Alle recenti elezioni del pubblico impiego hanno votato per le RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria) oltre 1,2 milioni e si sono presentate 135 sigle sindacali. Le tre organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno raccolto oltre il 95% dei voti. Le circa 20 sigle del sindacalismo di base (tra cui USB, CUB, Cobas ecc.) hanno ottenuto 55.000 voti e hanno 33 mila iscritti nel 2024.
Il sindacato SIAL-Cobas è stato presente con liste intersindacali al Comune di Milano (dentro la lista SLAI Cobas con ADL-Cobas e CUB) e alla Regione Lombardia con la lista SIAL-Cobas (al cui interno si sono candidati rappresentanti del S.I. Cobas). Cerchiamo e proponiamo di praticare la presentazione di una lista sola nei luoghi di lavoro e un’attività intersindacale in questi e in altri settori. Nel settore cooperative sociali (assistenza scolastica e altro) negli anni abbiamo provato a praticare un’attività intersindacale che ha portato un migliaio di lavoratori/trici a esprimersi on line su richieste alternative. Alcuni punti sono stati raccolti molto parzialmente dai sindacati trattanti. Sono stati indetti alcuni scioperi abbastanza partecipati ma da tempo questa esperienza è ferma.
Nel settore del trasporto ferroviario tra i dipendenti della rete, della manutenzione del personale
viaggiante sono in corso proteste e scioperi decisi da assemblee mensili on line aperte a tutti i dipendenti che decidono lo sciopero e poi lo proclamano ufficialmente alcuni sindacati (CUB, SGB, USB ecc.). Anche in queste realtà le votazioni dei delegati sindacali non si tengono da anni. Ogni 3 anni quasi regolarmente nel pubblico impiego e nella parte sindacalizzata della industria si tengono elezioni valide con oltre il 50%+1 dei dipendenti. Nel pubblico impiego i sindacati che possono sedere al tavolo delle trattative debbono avere ottenuto il 5% tra voti e iscritti nel contratto di appartenenza. E il contratto è valido se viene firmato da sindacati che hanno oltre il 50%+1 di voti e iscritti. Così vale anche per l’industria e il commercio dove sono in vigore accordi simili al pubblico impiego con diversi limiti e impedimenti, fra i quali che per avviare la prima votazione che comprenda tutte/i i dipendenti lo possono decidere solo i sindacati firmatari (ancora una volta i lavoratori soggiacciono alle scelte esterne dei sindacati a cui potrebbe non convenire andare al voto di tutti).
Nel settore dei bancari non è mai stata realizzata una votazione che coinvolga tutti gli oltre 250.000 dipendenti. E così vale per molte realtà aziendali. In altre realtà per scelta sindacale sia Cgil, Cisl e Uil ma in molti casi anche i cosiddetti sindacati di base (CUB, Cobas ecc.) per eleggere la RSA (Rappresentanza Sindacale Aziendale) fanno votare solo gli iscritti (senza farlo sapere a tutti i dipendenti) e a volte realizzano accordi sindacali che valgono per i soli iscritti. La presenza sindacale con iscritti e delegati nel settore privato non va oltre il 30% con forti differenze. La frammentazione padronale delle imprese si può vedere da alcuni dati: i contratti nazionale erano circa 300 ora sono circa 1000. Per i metalmeccanici erano 4 (artigiani, industria privata, parastatale e piccole aziende) ora sono oltre 25 anche se il contratto maggiore resta quello di Confindustria-Federmeccanica ma che non comprende la ex FIAT (oggi Stellantis), CNH e Ferrari che hanno contratto separato.
Sono peggiorate sul piano salariale le condizioni che i lavoratori vivono sulla loro pelle e molte indagini lo dicono compreso l’OCSE che scrive che dal 1992 in 30 anni i lavoratori hanno perso il 2,9% di valore reale. Ciò è dovuto alla abolizione della indicizzazione dei salari (1992-3 abolizione della scala mobile) e sostituzione con contratti nazionali vincolati alla inflazione programmata per un periodo (mai veritiera e senza arretrati) e poi dopo varie annate con contratti separati con la introduzione del “patto per la fabbrica” del 2018 (Confindustria e Cgil, Cisl e Uil) che fa da guida si introduce un adeguamento tramite l’indicatore europeo IPCA- NEI ma escludendo il valore dei generi energetici e non retroattivo e pagato al giugno dell’anno successivo (ad esempio per i metalmeccanici). In questo modo si realizza costantemente un abbassamento del valore reale dei salari che non può mai recuperare la inflazione reale. La regola non è applicata per tutti i rinnovi contrattuali: nel pubblico impiego il contratto separato (senza Cgil, Uil e USB) dei ministeriali ha visto aumenti del 6% invece del recupero del 17%. A questo si aggiungono spesso mancati rinnovi e ritardati nel tempo. E nei diversi settori e contratti nei decenni si sono viste perdite significative. Un esempio per tutti a livello professionale comparato: la paga contrattuale del metalmeccanico (4 livello) era nel 2000 euro 1.057,70 e nel 2024 era di 1.989,38 mentre il dipendente/socio con il contratto cooperative sociali (livello D1) nel 2000 prendeva euro 1.062,09 e nel 2024 1.605,99 con una paga inferiore al metalmeccanico di oltre 380 euro al mese.
La contrattazione nazionale e la disdetta nelle aziende storicamente sindacalizzate ha provocato
un abbassamento dei salari: i dipendenti dell’ospedale San Raffaele hanno subito il passaggio dal contratto sanità pubblico a quello privato e si sono visti disdettare 99 accordi aziendali migliorativi. Dopo anni di lotta avevano parzialmente recuperato il contratto pubblico e poi un’altra volta è stato disdettato. È in corso una lotta per chiedere pari condizioni economiche e normative rispetto ai colleghi del pubblico. In alcune aziende private la disdetta degli accordi aziendali ha provocato una differenza salariale di oltre 7.000 euro annui a pari professionalità e spesso a scolarità più elevata. Perciò dobbiamo puntare alla indicizzazione dei salari con cadenza breve (in Italia la cadenza è stata anche di rilevazioni bimestrali, trimestrali) e retroattività insieme a forti aumenti salariali. Per colmare le differenze di genere e dei meno pagati (assunzioni recenti, giovani) introdurre aumenti inversamente proporzionali e non solo uguali per tutti (vedi esempio contratti auto degli USA di alcuni anni fa). E’ da sostenere anche la proposta che senza rinnovo contrattuale nei tempi previsti entri in vigore automaticamente un significativo aumento salariale adeguato all’aumento dei prezzi.
La contrattazione aziendale riguarda il pubblico impiego con limiti di redistribuzione discriminante e differenziata (con le pagelline individuali) tra i lavoratori ma possibile solo esclusivamente per i risparmi realizzati tagliando occupati e servizi (vedi ad esempio https://multicobas.org/ ). La contrattazione aziendale nelle aziende private riguarda poco più del 20% delle aziende e del personale. Dal 2016 sono in vigore con criteri di miglioramento efficienza e produttività ecc. e con detassazioni di queste quote di salario/benefit/welfare (in beni e servizi) che sono state del 10%, del 5% e in questa legge di bilancio per il 2026 saranno dell’1%.
I cosiddetti premi di risultato si prestano a dover individuare diversi indici (di cui almeno uno deve risultare positivo sull’anno precedente) che in genere vanno in contrapposizione tra di loro (evitare errori, più qualità e aumentare la produttività, ecc.). Un criterio che, come SIAL-Cobas, invitiamo tutti a escludere dagli accordi e a combattere è quello della presenza-assenza che colpisce e discrimina i lavoratori malati e va contro anche alcune leggi. Queste erogazioni incerte e variabili andrebbero sostituite con aumenti fissi o meglio indicizzati.
La mancata riforma del fisco delle tasse in busta paga sui salari ha comportato solo negli ultimi due anni che 25 miliardi di aumenti sono entrati in busta paga ma sono usciti verso il fisco (drenaggio fiscale) senza realizzare il parziale recupero salariale. Il governo propone per i dipendenti in modo differenziato per il 2026 una restituzione di circa 2 miliardi. I sindacati Cgil, Cisl e Uil per evitare richieste di forti aumenti salariali al padronato e imprese chiedono la detassazione degli aumenti salariali dei contratti nazionali e aziendali (per i pochi che ce li hanno). Il SIAL-Cobas è contrario perché ciò comporterebbe un ulteriore impoverimento delle casse statali e tagli dei servizi sociali. Una riforma fiscale progressiva e la lotta alla evasione fiscale per ora non è all’ordine del giorno dell’azione sindacale ma quella è la strada da percorrere insieme al taglio delle sovvenzioni alle imprese.
La pensione pubblica è ancora presente con continue limitazioni e svalutazione dei rendimenti a cui si aggiunge l’allungamento della vita lavorativa. Dalla metà degli anni ’90 sono nati i fondi pensione contrattuali a cui aderiscono 10 milioni di dipendenti.
Il SIAF (anagrafe fondi sanitari) rileva 324 fondi con trattamenti diversificati anche all’interno dello stesso fondo contrattuale in base al contributo e a questi aderiscono circa 16 milioni di cui circa 8 milioni di dipendenti e assimilati (soci cooperative, ecc.).
I fondi pensione e sanitari distolgono i lavoratori e lavoratrici con l’illusione dei rendimenti, del contributo aggiuntivo delle imprese (che deriva da un mancato aumento contrattuale in busta paga). Inoltre, costituiscono cariche di prestigio (consigli di amministrazione) e di lavoro aggiuntivi che si distribuiscono tra sindacato dei padroni e dei lavoratori. Oltre al danno generale, comunque, costi aggiuntivi a carico dei lavoratori aderenti.
La salute e sicurezza sul lavoro e le produzioni ambientalmente sostenibili sono regredite negli anni. In Italia continuano ad esserci, ogni giorno, oltre 3 infortuni mortali e molti altri con conseguenze gravi e gravissime sulla salute dei lavoratori. Inoltre, sono tanti i morti e gli invalidi per malattia professionale, anche se non vengono denunciate come tali nella maggior parte dei casi. I danni alla salute provocati dal sistema produttivo (capitalistico) sono sempre più diffusi e complicati da contrastare. Alla fatica e ai rischi del secolo scorso si sono aggiunti stress da lavoro correlato, burnout e migliaia di prodotti chimici nuovi con rischi difficilmente prevedibili. Le malattie professionali sono in continuo aumento. Il controllo dei ritmi delle attività anche grazie alla tecnologia digitale che consente di scaricare sui tecnici non solo il lavoro classico ma anche quello della impiegata, del capo e del magazziniere provoca un aumento delle saturazioni e un affaticamento notevole fisico e psichico. Perfino il normale uso del mouse può causare il tunnel carpale che nel secolo scorso (ma in alcune realtà ancora oggi) era provocato da un avvitatore manuale o automatico e dalla ripetitività che continua ad essere presente in molti luoghi di lavoro. Perciò proponiamo a tutte/i un sondaggio “Pensa alla salute” da realizzare tra i dipendenti per verificare quello che vivono (ed è disponibile in diverse lingue).
A livello internazionale proponiamo di portare una maggiore attenzione e verifiche collettive sulle modalità per migliorare salute, sicurezza e produzioni ambientalmente sostenibili. Per l’attività nelle multinazionali un interscambio di informazioni a partire da alcune realtà dove siamo presenti: Piaggio, Honeywell, Xerox, Wood, Sandberg Silanos e altre. Ringraziamo i presenti nella RSISL per il confronto che avremo in questi giorni e ci auguriamo di poter sviluppare migliori e profondi rapporti in futuro.
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TESTO 3. PRESENTAZIONE SETTORE EDUCAZIONE (SERVIZI ESTERNALIZZATI). BASTA APPALTI E CONTRATTI POVERI: INTERNALIZZAZIONE
Quadro dei servizi alla persona in Italia. Il sistema dei servizi alla persona comprende ambiti diversi dal punto di vista del riferimento alle istituzioni pubbliche ma collegati dal punto di vista degli interventi alla persona e del ruolo/mansione di chi li svolge: socio-educativi, socio-sanitari e assistenziali. Asili nido, scuole dell’infanzia, assistenza scolastica per alunni disabili, assistenza domiciliare (minori, anziani, disabili), centri diurni e socio-educativi, comunità per minori, centri diurni per disabili, centri di accoglienza per migranti e minori stranieri non accompagnati, appartamenti diffusi, interventi di tutela minori e percorsi di messa alla prova o in carcere. La committenza cambia a seconda dell’ambito: Comune, Regione, Prefettura, Ministero. Oltre ai servizi completamente privati, gestiti da aziende e strutture private con contratti del privato sociale e rette a carico degli utenti (come asili nido privati, assistenza domiciliare, centri di sostegno), la maggior parte dei servizi pubblici — ossia quelli a cui la cittadinanza accede tramite i servizi sociali comunali — è oggi affidata a soggetti privati o del terzo settore (cooperative, fondazioni, aziende speciali). La gestione avviene attraverso diversi meccanismi di esternalizzazione: gare d’appalto, affidamenti diretti tramite convenzioni o forme di co-progettazione tra pubblico e privato. Ad esempio le aziende speciali consortili, diffuse soprattutto in Lombardia (regione in cui si concentra prevalentemente la nostra attività sindacale riferita al settore educativo), gestiscono in forma associata tra più Comuni servizi pubblici locali, inclusi quelli educativi.
Contrattazione e frammentazione. I principali contratti pubblici del settore sono il CCNL Enti Locali e Regioni e il CCNL Sanità Pubblica, oggi residuali e sostituiti in gran parte da contratti del privato sociale, come CCNL Cooperative Sociali (circa 450.000 dipendenti) e CCNL Uneba (circa 135.000 dipendenti). Se questi due contratti, che sono tra i maggiormente rappresentativi, insieme fanno quasi 600.000 dipendenti, è verosimile ipotizzare, pur in assenza di stime precise, che il personale dei servizi socio-educativi e socio-sanitari esternalizzati si aggiri intorno al milione.
– CCNL Coop Sociali: base lorda livello D2 educatrici educatori con titolo: € 1.727,83 lordi per 14 mensilità
(la quattordicesima al 100% dal 2026)
– CCNL Uneba: Paga base lorda livello 3S educatrici educatori con titolo: 1662,40 € lordi per 14 mensilità
– CCNL Enti Locali: Paga base lorda d’ingresso per un livello D (area funzionari qualif. elevata ovvero il livello a cui attualmente verrebbero inquadrate le educatrici educatori con titolo 1,934,36 €. Nel complesso, nel solo settore socio-sanitario e assistenziale si contano 47 contratti nazionali, di cui 27 considerati “pirata”. Nel privato educativo operano inoltre contratti come Agidae, Aninsei, Fism, Aias, Anaste, Diaconia Valdese e altri: tutti con livelli salariali e tutele inferiori ai contratti pubblici (Comuni, Sanità, Ministero Istruzione e Giustizia). Per i servizi di assistenza scolastica, per cui lavora una parte consistente delle lavoratrici e dei lavoratori che è in relazione con la Rete Intersindacale (ADL COBAS, SIAL COBAS, CLAP, COBAS, CUB) rivendica da anni l’internalizzazione nel Ministero dell’Istruzione e l’adozione del CCNL “Istruzione e Ricerca” anche per il personale educativo, al pari del personale docente. È una richiesta alternativa alle proposte di legge in discussione in Parlamento, che ipotizzano meccanismi di internalizzazione parziali, insufficienti che demandano/scaricano la possibilità sugli Enti Locali sempre più in deficit economico a causa dei continui tagli alla spesa sociale.
Frammentazione e conseguenze sull’utenza. Il lavoro educativo è sempre più esternalizzato, precario e frammentato, segnato da contratti poveri e condizioni che spingono molte persone ad abbandonare il settore. Tra le criticità più diffuse: salari inferiori ai 10 euro netti l’ora, part-time involontari, uso distorto della banca ore, notti passive non retribuite, strutture inadeguate e spesso non sicure. A tutto ciò si aggiungono diritti sindacali non riconosciuti, in netto contrasto con quanto avviene negli enti pubblici, dove la rappresentanza sindacale è più solida (presenza di RSU), e alti livelli di stress e turnover. La categoria è colpita da una forte frammentazione, aggravata dai tagli del Governo agli Enti Locali e alla spesa sociale. Formazione disomogenea (con titoli di studio diversi in diverse Regioni), contratti collettivi diversi, lavoro spesso individuale e scarsa collegialità rendono difficile organizzarsi e difendere i propri diritti. Non a caso, molte esperienze di carattere sindacale o pseudo sindacale auto-organizzate, sono nate fuori dai luoghi di lavoro, attraverso assemblee e reti territoriali. La moltiplicazione dei contratti contribuisce a dividere la categoria: un contrasto evidente con il settore metalmeccanico, dove oltre 1,5 milioni di lavoratori (per la maggior parte di piccole e medie imprese) fanno riferimento a un unico CCNL. Inoltre, diversi enti e associazioni corporative promuovono battaglie settarie (es. istituzione di albi professionali, parziali equiparazioni dei titoli e degli inquadramenti) che frammentano ulteriormente il settore e ostacolano un’azione sindacale più universalista, più inclusiva.
L’esperienza del Sial Cobas: una vertenza nel Nord Milano. Da anni siamo impegnati sul territorio nella battaglia per l’internalizzazione nel pubblico dei servizi esternalizzati, con il riconoscimento di un contratto nazionale adeguato. Una lotta che in Italia si muove anche a livello nazionale, con fasi alterne di mobilitazione e iniziativa sindacale. Nell’estate 2025, nella periferia nord di Milano, si è aperta una nuova vertenza che coinvolge lavoratrici e lavoratori di tre sindacati diversi e un’azienda speciale consortile che riunisce quattro Comuni e circa 200 dipendenti (asili nido, centri diurni disabili e altri servizi). Alleiamoci contro precarizzazione e esternalizzazione. La nostra battaglia è sindacale, culturale e politica: riaffermare la dignità del lavoro educativo e la centralità del servizio pubblico. La precarizzazione e l’esternalizzazione del lavoro di cura colpiscono anche l’utenza: “chi lavora con la marginalità diventa marginale”. Le condizioni di lavoro si riflettono direttamente sulla qualità dei servizi e sulla vita delle persone che ne usufruiscono. Per questo, ribadiamo l’urgenza di costruire alleanze sociali e intersettoriali, oltre i confini di categoria, per difendere insieme diritti, salari e dignità del lavoro pubblico.
