Sial Cobas: solidarietà alla mamma licenziata dalla Ikea di Corsico

Solidarietà alla mamma licenziata dall’Ikea di Corsico.

Ci si può difendere meglio con la solidarietà, la lotta, il coinvolgimento della Consigliera di Parità e nell’azione legale far valere le discriminazioni verso le donne?

Il lavoro di cura, la gestione dei figli pesa soprattutto sulle donne. Per questi motivi vengono licenziate o spinte con orari impossibili alle dimissioni. In troppi casi il licenziamento si conclude in modo consensuale e quindi la realtà della discriminazione è ben peggiore di quella rilevata nelle statistiche.

Vogliamo ricordare due esperienze che danno qualche insegnamento utile:

Nel 2001 il caso della mamma operaia, Mara, che doveva portare e riprendere il figlio Simone a scuola.  Il marito lavorava nella stessa azienda (Siemens allora) e faceva il trasfertista,  perciò lei non poteva accettare di fare i turni. Si è gestita la salvaguardia del posto di lavoro con lo sciopero dalle 6 alle 8,30 e dalle 16,30 alle 22 fino a soluzione del problema. Il sindacato di base FLMUniti nei mesi della lotta ha cercato di non lasciare sola Mara e ogni settimana promuoveva un presidio con sciopero alle portineria (la solidarietà delle donne e degli uomini era .. scarsa).  Nello sciopero si sono coinvolti lavoratori e lavoratrici delle altre aziende di zona. Ad un certo punto della storia, dopo interventi su il Corriere della Sera, TG3, l’incontro in Regione e alla Pastorale del Lavoro per sollecitare una soluzione, utilizzato anche un breve periodo di ferie, finalmente si è trovata una ricollocazione con mansione da impiegata in una sede a 1 km. Per ottenere il riconoscimento da impiegata ha comunque dovuto fare una causa legale. La responsabilità di mamma e la determinazione nel voler gestire il rapporto con il figlio insieme alla volontà di lotta ha ottenuto in 5/6 mesi il risultato.

Il caso di Raffaella della ICP in provincia di Crema è ancora più assurdo per la discriminazione e l’isolamento. La mamma decide di iscrivere la figlia in una scuola di Crema e con intervallo di 1 ora e 30 minuti ce la fa ad andare a prenderla e riaccompagnarla a casa. La direzione e sindacati cambiano e riducono l’orario di pausa ad un ora. Lei chiede di poter continuare fino a fine anno la pausa di un ora e mezza e recuperare concordemente l’orario. Non le  viene concesso. Va a prendere la figlia scuola non senza aver preparato, facendosi il mazzo, la scorta al collega della postazione successiva. Tutto ciò non è bastato: ai rientri in ritardo seguono 1,2,3,4,5 lettere di contestazione con una ultima sanzione il licenziamento.

Dal punto di vista contrattuale “formalmente ineccepibile” se non si vuole tenere conto delle motivazioni reali: non c’era volontà di sbattersene del regolamento, degli orari ma aveva la responsabilità di non abbandonare la figlia per strada. Anche in questo caso la solidarietà degli altri lavoratori maschi e femmine non c’è stata di fatto. Gli altri sindacati muti nonostante tentativi di coinvolgimento.

In questo caso abbiamo imparato una cosa nuova che però esisteva da tempo: abbiamo chiesto un incontro alla Consigliera di Parità di Crema che a fronte delle ragioni di Raffaella ha deciso di entrare, con un avvocato pagato dalla Stato, in causa legale a fianco della lavoratrice per sostenere la discriminazione e la nullità del licenziamento. Anche in questo caso la campagna stampa ha avuto la sua importanza, ma davanti al giudice la differenza l’ha fatta non solo l’avvocato della lavoratrice che sulla parte del contratto poteva fare e ha fatto del suo meglio, ma l’aggiunta dell’avvocato della Consigliera di Parità (quindi in rappresentanza dello Stato) con le ragioni delle discriminazioni. Questo aiuto alla lavoratrice non se lo aspettavano e alla fine si sono decisi ad accettare ad inizio 2007 il rientro al suo posto di lavoro con il pagamento degli arretrati (circa 4 mesi).

http://www.arcoiris.tv/scheda/it/6402/ 

Con il Jobs Act il parlamento è riuscito anche a togliere alle Consigliere di Parità i fondi per pagare l’avvocato e quindi presumiamo sarà più difficile averle. Per questo possiamo cercare e trovare avvocati/e che si prestino gratuitamente a fare queste cause o a fare la colletta per pagarle.

Abbiamo incontrato nelle nostre attività avvocati/e che possono rendersi disponibili a mettere a disposizione la loro decennale esperienza per far sì che ci si possa difendere dalle discriminazione dirette e indirette al meglio.

La difesa tradizionale delle sanzioni disciplinari è diventata un arma spuntata che al massimo porta a 24 mensilità e non alla reintegra. Per la discriminazione invece è ancora prevista la reintegrazione sul posto di lavoro. Perciò invitiamo a prendere in considerazione ogni volta che c’è un azione contro una donna, se non ci sia anche una discriminazione di genere nei fatti.

Per quel che possiamo dire questi due casi insieme a quest’ultimo di Ikea sono solo la punta dell’iceberg.

E per essere più incisivi dobbiamo considerare che è possibile, necessario e utile imparare a praticare il sostegno di fronte al licenziamento di una donna difendendola sotto tutti gli aspetti: la responsabilità del genitore prevista dalla Costituzione non è secondaria agli orari del negozio o dell’azienda, la perdita di un posto di lavoro femminile contrasta con obiettivi europei di aumento della occupazione delle donne, ecc., ecc..

Perciò come sindacato SIAL-Cobas ci rendiamo disponibili a coordinarci anche con altre sigle sindacali e con chi è interessato per portare avanti la difesa e i diritti delle donne, anche con eventuali proteste e azioni di solidarietà o boicottaggio.

Un’ultima considerazione sulla politica dei licenziamenti alla Ikea: è possibile che dopo aver cercato e ottenuto un peggioramento dei contratti aziendali siano in corso da tempo licenziamenti individuali verso il personale di una certa anzianità che era andato a lavorare lì perché c’erano trattamenti migliori e ora si trovano a fare i conti con licenziamenti individuali o proposte di retrocessione salariali e professionali inaccettabili che portano verso decine di risoluzioni consensuali ottenute attraverso pressioni indebite? Il capo del personale sa quanti sono stati negli ultimi mesi. I sindacati, le lavoratrici e lavoratori conoscono parzialmente la realtà.

E dietro questi licenziamenti che discriminazioni ci sono?

Lì, 3 dicembre 2017