NON UNA DI MENO: 3° report del Tavolo Lavoro e Welfare (Roma 22-23 aprile 2017)

logo quadrato non una di menoVerso la scrittura di un Piano Femminista Antiviolenza, il Tavolo Lavoro e Welfare del movimento Non Una Di Meno, giunto al terzo appuntamento nazionale, ha sintetizzato il proprio lavoro individuando dei punti imprescindibili di analisi; principi largamente condivisi; gli obiettivi e le pratiche per ottenerli.
Forti dell’esperienza dello sciopero globale delle donne che l’8 marzo scorso ha interessato quasi 60 paesi nel mondo, intendiamo ribadire che la saldatura con i temi economici del lavoro e del welfare  è centrale e non secondaria per combattere la violenza di genere nel suo aspetto sistemico e non emergenziale, per pensare la trasformazione radicale della società e del sistema produttivo, la risocializzazione del lavoro di cura e di riproduzione, e quindi l’abbattimento della contemporanea divisione sessuale del lavoro e la distruzione del sistema patriarcale.
Combattere la violenza a partire dalla specificità di questi temi vuol dire porsi il problema in termini di prevenzione, non solo ex post, ma provando a individuare ex ante strumenti misure e pratiche che garantiscano l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne, in grado quindi di sottrarle preliminarmente alla potenziale spirale di violenza data dalla dipendenza economica, dallo sfruttamento e dall’assenza di servizi. È stata sottolineata la quasi assenza di strumenti che garantiscano l’indipendenza economica e forme di supporto concrete alle donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita dalla violenza, familiare e lavorativa.
In questo senso è stato fondamentale riaffermare la prospettiva femminista, ripartire dalla parzialità e dalla specificità delle condizioni di lavoro e di vita delle donne per affrontare le questioni più complessive legate al lavoro, allo sfruttamento e alla redistribuzione della ricchezza. Ricchezza che rivendichiamo sotto forma di un welfare universale, diretto e indiretto, che risponda ai bisogni delle donne e degli individui e non sia organizzato su base familiare, una volta di più se assumiamo che la casa e la famiglia sono i luoghi primari in cui si genera la violenza.

Abbiamo individuato un nesso stretto tra la ristrutturazione capitalistica in atto e la violenza di genere in tutte le sue forme e dispositivi di nuova segmentazione, esclusione e sfruttamento, nonché la violenza con cui la dismissione crescente del welfare, in nome del risanamento del debito, si abbatte sulle vite delle donne.
Con la categoria della femminilizzazione del lavoro abbiamo letto la generalizzazione a tutta la forza lavoro dei tratti che hanno storicamente caratterizzato il lavoro femminile (intermittenza, gratuità, flessibilità, supplementarietà) e, al tempo stesso, la messa al lavoro delle forme e degli stili di vita, degli stessi generi e delle facoltà relazionali e di cura. Sebbene questo processo riguardi il lavoro nella sua complessità, colpisce ancora le donne in modo particolare laddove è ancora vigente un determinato regime di divisione sessuale del lavoro.
Il portato storico delle lotte femministe ci ha insegnato che la sfera della riproduzione è divenuta immediatamente produttiva.

Le ultime riforme del lavoro hanno segnato un deciso passo in avanti nello smantellamento dei diritti e delle tutele, aumentando esponenzialmente la ricattabilità, in particolar modo delle donne e delle soggettività Lgtbqi e migranti, nei termini in cui la precarietà è diventata la forma normale del lavoro.
A partire da questa prospettiva diventa oggi possibile mettere in discussione un intero ordine di dominio e sfruttamento, coinvolgendo così tutte quelle soggettività che vivono in modi diversi la violenza quotidiana della precarietà. Riconoscere la forza globale di questa prospettiva femminista significa rilanciare la potenza dello sciopero dell’8 marzo e la sua dimensione transnazionale.

È stata accolta la proposta delle compagne argentine di mobilitarsi il 28 settembre sui temi dell’aborto e della libera scelta. È stata poi da tutte espressa la necessità di trovare un momento di comune di mobilitazione a livello nazionale ad ottobre ed è stato nuovamente assunto il 25 novembre come scadenza centrale e di convergenza nazionale, riflettendo sulla possibilità di indire un nuovo sciopero delle donne.

È unanime la volontà di proseguire la lotta, valutando la possibilità di stringere alleanze con altri settori sociali per  radicare il movimento alle vertenze dei territori e per rifiutare ogni nuovo affondo di tagli alla spesa sociale. reclamando piuttosto una reale redistribuzione della ricchezza al fine di prevenire e contrastare la violenza neoliberale e patriarcale che si abbatte sulle donne e tutti, in tutte le sue forme.

A partire da questa analisi di contesto che nella discussione è stata ovviamente assai più articolata in tutte le sue differenti questioni e sfaccettature, abbiamo enucleato i seguenti principi da inserire nel Piano Femminista Antiviolenza:

  • l’autonomia, in primo luogo delle donne, ma anche di tutte le soggettività, come condizione preliminare e necessaria per il contrasto e la prevenzione alla violenza in tutte le sue forme
  • l’autodeterminazione delle donne e di tutti, come liberazione dal ricatto dello sfruttamento, della precarietà dal lavoro pur che sia, e dai ruoli imposti dal patriarcato
  • la socializzazione del lavoro di riproduzione e cura a tutta la società, come condizione necessaria per la liberazione dai ruoli e dalla segregazione lavorativa fondata sulle differenze di genere e razza
  • prevenzione:  ripensamento complessivo della società, dei ruoli e del sistema produttivo e del welfare, al fine di evitare l’insorgenza ex ante delle situazioni di violenza
  • solidarietà, affermando nuovi strumenti e pratiche mutualistiche volti a rompere la frammentazione e la solitudine per riaffermare piuttosto la potenza dell’essere in comune non soltanto nelle sue forme territoriali, ma anche a livello globale
  • principio dell’intersezionalità, intesa come intreccio e combinazione virtuosa nel movimento delle condizioni specifiche di sfruttamento e oppressione dettate dalle nuove gerarchie non solo di genere e di classe, ma anche razziale, senza velleità di livellamento alla ricerca di una condizione universale

Obiettivi:

  • Rivendicazione di un salario minimo dignitoso per tutte e tutti; un salario minimo come rivendicazione non sono nazionale ma in prospettiva anche europea per contrastare i bassi salari, il gender pay gap e i dispositivi di dumping salariale
  • Reddito di autodeterminazione incondizionato e universale, nella sua doppia articolazione: in primo luogo come strumento di contrasto e di garanzia di indipendenza economica per tutte le donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita da situazioni violente, familiari e lavorative. in secondo luogo come uno degli strumenti principali di liberazione dai meccanismi di ricatto e di sfruttamento sul lavoro. In questo senso è stata rifiutata ogni impostazione workfaristica
  • Permesso di soggiorno incondizionato, slegato dal lavoro e dalle relazioni familiari, per contestare lo sfruttamento del lavoro migrante e delle donne migranti in particolare, in tutti gli ambiti e in particolare in quello della cura e del welfare privatizzato e monetizzato
  • Misure di sostegno ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza: Trasferimento dai luoghi di lavoro con assicurazione di ricollocazione delle donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza, diritto alla casa e aspettativa retribuita.
  • Monitoraggio sulle forme di violenza e mobbing sui luoghi di lavoro e sviluppo di forme di raccordo tra centri antiviolenza e sindacati per un intervento efficace anche sul piano delle molestie sui luoghi di lavoro
  • Infrastrutture sociali: ridenominare i servizi per la riproduzione sociale, in modo di tenere insieme le esigenze del lavoro professionale della cura con il servizio che garantisce alle donne la liberazione di parte del tempo di vita.
  • Welfare universale e anche autonomo, pensato sui bisogni e i desideri delle donne e delle soggettività lgbtiq, adeguato e all’altezza delle forme, delle relazioni e degli stili di vita contemporanei. Esemplari sono gli esperienze delle consultorie autogestite all’interno delle quali sia possibile sovvertire le forme di riproduzione sociale che impongono e fissano le identità e i ruoli di genere. Servizi laici, gratuiti e non ingerenti rispetto alle scelte di vita degli individui.
  • Rifiuto del welkfare aziendale in quanto forma privatizzata di welfare, che rivendichiamo invece accessibile a tutte e tutti, non monetizzabile e slegata dai contratti di lavoro
  • Politiche a sostegno della maternità e alla genitorialità condivisa, quindi indennità garantita e generalizzata a tutte le forme contrattuali e non solo al lavoro garantito, tradizionale.  
  • Rifiuto delle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nei termini in cui riafferma una determinata divisione sessuale del lavoro che assegna “naturalmente” alle donne il lavoro riproduttivo e di cura

Pratiche:

  • Presidi e forme di solidarietà concreta a sostegno delle donne che hanno subito provvedimenti disciplinari e repressivi in seguito agli scioperi e alle lotte sul lavoro,  a partire dallo sciopero dell’ 8 marzo
  • Costruire reti mutualistiche di solidarietà che accolgano i bisogni delle donne; sovvenzionare casse di resistenza per finanziare tali reti, sulla scia della storia dei movimenti femministi che hanno creato, autogestito e rivendicato servizi delle donne per le donne espropriando al dominio maschile le conoscenze e le decisioni in termini di salute e autodeterminazione sui corpi e come strumento di rifiuto della sessualità normata
  • Campagna contro i ricatti e le molestie sul lavoro come contributo del Tavolo contro la violenza sulle donne
  • Conoscere lo sciopero come pratica di lotta, così come iniziato con l’8 marzo, a partire dall’alleanza tra diversi settori sociali e sindacali, insistendo sul processo di riappropriazione e risignificazione dello stesso, al fine di sovvertire i ruoli sociali imposti, lo sfruttamento e la precarietà, e affermare il rifiuto della violenza neoliberista.
  • Creazione e diffusione di nuove pratiche mutualistiche e sindacali
  • Declinazione del diritto all’abitare dal punto di vista di genere, per tutelare le situazioni di donne sole costrette ad affrontare il calvario dello sfratto e le cui condizioni di precarietà lavorativa rappresentano un ostacolo forte all’ottenimento di una situazione abitativa stabile e dignitosa
  • Costruzione di una banca dati sul gender pay gap, sulle molestie e le discriminazioni sulle donne e le soggettività lgbtiq, per realizzare ricerche incrociate che consentano di mappare i bisogni e le situazioni sui territori, imponendo criteri differenti di lettura e analisi
  • Creazione di un osservatorio che intersechi la ricerca e la produzione e la trasmissione dei saperi, che coinvolga Istat, i centri di ricerca e le università, e che possa servire anche a mappare l’accesso all’università, le ragioni economiche, sociali e culturali che vanno a definire le scelte delle studentesse, native e migranti.
  • Indagine sul rapporto tra sfruttamento e salute delle donne, anche riproduttiva, nei luoghi di lavoro
  • La promozione di una lettura femminista trasversale alle discipline. Riconoscimento anche della pratica dell’ autoformazione fra i dispositivi di produzione e trasmissione di saperi critici situati e femministi
  • Consultori e servizi per la salute anche dentro l’università, come forma di prevenzione per le giovani generazioni e la garanzia del libero accesso alle infrastrutture regionali