Decreto Legge Minniti-Orlando contro i migranti: un passo indietro sul piano dei diritti e della civiltà giuridica

migranti-768x692Il decreto Minniti-Orlando contro i migranti è legge e realizza quello che non è riuscito a fare la destra: una “legislazione speciale” di serie B riservata ai migranti, la cancellazione del diritto al secondo grado di giudizio, e del diritto ad essere ascoltati dal giudice, la riapertura dei CIE.

Qui sotto un articolo che riassume le ragioni, documentate e spiegate, di chi oppone al vergognoso decreto.

A cura di Gavino Maciocco,

da www.saluteinternazionale.info del 12 aprile 2017

Per trovare consenso a buon mercato al giorno d’oggi la carta vincente sembra essere quella di prendersela con i migranti e con i più poveri.  Con due Decreti legge – n. 13 e n. 14 – emanati lo scorso febbraio (e ora approvati dal Parlamento con la fiducia) il Governo mette in riga chi fugge da guerra e fame, nonché chi mendica nelle città mettendo a repentaglio il decoro urbano. Ma molte associazioni – tra cui ASGI, Magistratura Democratica, SIMM, ARCI, Comunità di S. Egidio, ACLI, Oxfam, CGIL, CISL, UIL – si oppongono a ciò che a loro parere rappresenta un passo indietro sul piano dei diritti e della civiltà giuridica del nostro Paese.

Con l’emanazione del Decreto Legge 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), – sostiene il documento di Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e Magistratura Democratica, (vedi risorse) –   il Governo ha scelto di operare mediante lo strumento della legislazione di urgenza introducendo modifiche di sistema che presentano profili di estrema delicatezza per la salvaguardia di principi costituzionali ed internazionali, e che non appaiono idonee a risolvere le attuali problematiche del sistema di protezione internazionale italiano.

Nel merito, le previsioni relative ai procedimenti in materia di protezione internazionale appaiono avere l’effetto di allontanare il cittadino straniero dal Giudice, limitando le possibilità di contraddittorio, anche mediante l’utilizzo della videoregistrazione dell’audizione del richiedente asilo, strumento che può essere considerato utile alla verifica e all’integrazione istruttoria solo se viene garantita la comparizione delle parti e la presenza di un mediatore linguistico-culturale.

L’uso della videoregistrazione dell’audizione del richiedente potenzialmente sostitutivo dell’audizione dello straniero da parte del giudice non è conforme all’obiettivo indicato dalle disposizioni previste dal legislatore dell’Unione europea, orientate a rafforzare i diritti dei richiedenti protezione internazionale. A tal proposito occorre osservare che il diritto dell’Unione valorizza la valutazione piena e diretta del giudice ex nunc di tutte le fonti di prova. A tal fine appare essenziale l’ascolto diretto e personale del richiedente, essendo spesso le dichiarazioni rese dallo stesso gli unici elementi su cui si basa la domanda (art. 46 della Direttiva 2013/32/UE).

Lo stesso risultato di obiettiva riduzione delle garanzie processuali viene prodotto dall’eliminazione del grado di appello, come denunciato dalla stessa Associazione nazionale magistrati – sezione Cassazione che, nel proprio comunicato [PDF: 180 Kb] del 14.02.2017, ha evidenziato l’irragionevolezza di tale scelta in un ordinamento processuale come il nostro in cui la garanzia del doppio grado di merito è prevista anche per controversie civili di ben minor valore rispetto all’accertamento se sussista o meno in capo allo straniero un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani e degradanti o eventi bellici in caso di rientro nel proprio Paese, e l’inevitabile trasferimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione delle criticità e delle disfunzioni che si dichiara di voler eliminare. La previsione di sole 14 sezioni specializzate per trattare i principali procedimenti aventi come interlocutori le persone straniere renderà inoltre più difficoltoso il diritto di difesa della parte, che si troverà lontana dal Foro di discussione della propria controversia, ostacolando sotto il profilo logistico la concreta possibilità di accesso alla giurisdizione. L’accentramento dei procedimenti in pochi Tribunali rischia di accentuare le attuali difficoltà degli Uffici giudiziari coinvolti, che vedranno ulteriormente aumentare il carico di lavoro.

In relazione alle novità in tema di prima identificazione e di rimpatrio degli stranieri irregolari, si osserva che appare persistere una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l’accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri non espulsi ma respinti, o l’allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all’apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che CIE).

Su questo punto si concentra la critica al Decreto legge n. 13 da parte della Società Italiana Medicina delle Migrazioni (SIMM), dove nel suo documento(a) (vedi risorse) si legge:

Esprimiamo notevole preoccupazione per l’introduzione di nuovi centri di detenzione, denominati Centri di Permanenza per i Rimpatri (in luogo di Centri di Identificazione e Espulsione – CIE, secondo la legge vigente). Il cambio di denominazione non ne cambia le funzioni, ma le estende ai richiedenti asilo che abbiano presentato ricorso contro un primo diniego.  Nelle raccomandazioni finali del XIV Congresso SIMM nel 2016 [PDF: 197 Kb] avevamo già reiterato la nostra forte preoccupazione per gli effetti dannosi dei CIE, e ne avevamo auspicato la chiusura. La detenzione di uno straniero richiedente asilo – perché tale è fino al giudizio definitivo – collide drammaticamente con il dettato delle norme internazionali e nazionali e costituisce un vulnus gravissimo e potenzialmente irrecuperabile per la salute delle persone che si erano affidate alla Repubblica per avere protezione. A fronte dei significativi stanziamenti previsti per l’apertura di nuovi centri di detenzione, sarebbero essenziali, invece, interventi di miglioramento della qualità dell’accoglienza per i richiedenti protezione.
Tra questi vanno comprese azioni di supporto al lavoro del personale impegnato a vario titolo nella gestione del percorso (componenti le commissioni, giudici, forze dell’ordine, etc.), attraverso un impiego di risorse proporzionate al carico di lavoro ed un costante supporto in termini formativi e di sostegno, quando necessario.  Adeguati investimenti in questo senso, oltre che ad abbreviare i tempi di attesa di valutazione (ad oggi eccessivamente prolungati) limiterebbe il tasso di decisioni erronee e tutelerebbe il personale stesso. Verrebbe ridotto inoltre lo stress aggiuntivo prodotto sui richiedenti asilo, minimizzando il rischio di fenomeni di nuova traumatizzazione. Il decreto, al contrario, devolve alla formazione dei magistrati delle “sezioni specializzate” poche migliaia di euro, mentre 13 milioni sono destinati alla realizzazione dei centri di espulsione”.

Ancora la SIMM:

“Non si ravvisa la necessità di istituire un ‘diritto speciale’ per gli stranieri richiedenti protezione, poiché si trovano, all’interno delle norme previste dal nostro ordinamento, procedure adeguate e coerenti con le garanzie relativamente ai diritti soggettivi della persona: il diritto alla protezione internazionale e il diritto alla salute. Ravvisiamo invece la necessità di dare piena attuazione allo spirito e alla lettera della legislazione laddove prevede percorsi di inclusione per i richiedenti protezione internazionale.
In particolare, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, è ineludibile la piena applicazione dell’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 20.12.2012 ‘Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome italiane’, il quale disciplina la tempestiva iscrizione della persona richiedente asilo al sistema sanitario nazionale con piena inclusione nelle cure”.

Un gruppo di associazioni (A Buon Diritto, ACLI, ANOLF, Antigone, ARCI, ASGI, CGIL, Centro Astalli, CILD, CISL, Comunità Nuova, Comunità Progetto Sud, Comunità di S.Egidio, CNCA,  Focus – Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Legambiente, Lunaria, Oxfam Italia, SEI UGL, UIL) hanno firmato un appello che critica duramente sia il decreto legge del 17 febbraio, n. 13, (Contrasto all’immigrazione illegale) che  quello immediatamente successivo del 20 febbraio 2017, n. 14, (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città).  Si legge in particolare nel loro comunicato (vedi risorse):

Il Decreto Legge Minniti-Orlando e il Decreto ‘Sicurezza’, entrati recentemente in vigore ed in fase di conversione in Parlamento, rappresentano un passo indietro sul piano dei diritti e della civiltà giuridica del nostro Paese. Attraverso un uso improprio della legislazione di urgenza, i due decreti, anziché intervenire sulle tante contraddizioni e i limiti dell’attuale legislazione, introducono nuove norme di discutibile efficacia, senza peraltro migliorare l’efficienza del sistema. Ad esempio si rilancia il ruolo dei Centri Permanenti per il Rimpatrio, nuova denominazione per gli attuali CIE, senza che ne venga modificata la funzione e assicurato il pieno rispetto dei diritti delle persone trattenute.

Gestire e governare in modo efficace e lungimirante il fenomeno migratorio non significa – noi crediamo – limitarsi ad irrealistiche azioni di deterrenza. Occorrono, invece, norme che favoriscano i flussi d’ingresso e la permanenza regolare dei cittadini stranieri, contrastando così il lavoro nero e lo sfruttamento. Ribadiamo inoltre l’urgenza di aprire corridoi umanitari e aumentare considerevolmente i reinsediamenti, per consentire alle persone che fuggono da guerre, persecuzioni, fame e povertà di entrare in Italia e in Europa senza mettere in pericolo la loro vita.

Riteniamo inaccoglibile la pretesa di ricondurre la materia del “decoro urbano” al tema della sicurezza, avallando una concezione dell’ordine pubblico che non produce vera sicurezza ma, al contrario, rischia di creare maggiore insicurezza criminalizzando la marginalità sociale senza preoccuparsi di intervenire per combattere la povertà e la marginalità di un numero crescente di cittadini”.