Nuovo contratto dei metalmeccanici: ecco come ce la racconteranno i confederali per farci votare sì

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Un contratto tutto nuovo

di Fernando Liuzzi da Il Diario del Lavoro del 26 novembre 2016

Da oggi i metalmeccanici hanno un nuovo contratto. Nuovo, sia detto subito, in un duplice senso. Innanzitutto, nel senso stretto del termine: infatti, nel primo pomeriggio è stata firmata a Roma un’ipotesi di accordo per il nuovo contratto che sarà valido fino al 31 dicembre del 2019. Ma nuovo, anche, perché, come vedremo, i contenuti dell’accordo, così come il clima in cui è stato raggiunto, innovano in modo abbastanza profondo sia il contratto in sé, sia il suo ruolo sociale e politico.

Ma andiamo con ordine. Sono le ore 13.45 di sabato 26 febbraio quando, nella sala “A” della palazzina laterale alla sede nazionale di Confindustria, risuona una voce caratterizzata da un leggero accento emiliano. E’ la voce di Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica, che dice. “Ragazzi, dobbiamo firmare”. Da circa mezz’ora, è infatti iniziato l’incontro conclusivo di questa lunga vicenda contrattuale, apertasi in questa stessa sala il 5 novembre del 2015. Per  raggiungere l’accordo odierno c’è dunque voluto un anno intero, più tre settimane. Il primo a parlare è Stefano Franchi, direttore generale della stessa Federmeccanica. Poi seguono Storchi, Angelo Carlini, dell’Assistal, e i leader dei tre sindacati dei metalmeccanici: Palombella (Uilm), Bentivogli (Fim), e Landini (Fiom). Ma non sono discorsi di prammatica. Si capisce che ognuno di loro è convinto di aver portato l’organizzazione che rappresenta a partecipare a un rinnovo che costituisce un evento significativo per il futuro delle relazioni industriali della maggiore categoria dell’industria.

E veniamo adesso ai contenuti dell’accordo. Quando viene rinnovato un contratto, la prima cosa che un sindacalista si sente chiedere è: “Quali sono gli aumenti salariali?” Ciò, naturalmente, è accaduto anche oggi. In risposta a questa domanda è stata così diffusa l’informazione secondo cui l’aumento medio del salario, nel triennio che va dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, può essere stimato in 92,68 euro. Ma, come vedremo, questa è una risposta a una domanda per certi aspetti sbagliata, in questo caso. Infatti, la logica con cui è stato costruito questo accordo è notevolmente innovativa rispetto alla tradizione consolidata nella categoria. Vediamo perché.

Per prima cosa, va chiarito che il contratto siglato oggi a Roma si riferisce a un quadriennio, quello che va dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2019. Gli aumenti retributivi di cui stiamo parlando si riferiscono invece al prossimo triennio, quello che comprende 2017, 2018 e 2019. E ciò perché Federmeccanica e Assistal hanno ritenuto che gli aumenti fissati dal precedente contratto, quello del 2012 valido per il triennio 2013-2015, abbiano superato la crescita dell’inflazione che, come è noto, è stata modestissima. E l’hanno superata perché calcolata, come dicono gli economisti, ex ante. E’ stata cioè calcolata all’inizio del periodo sulla base di previsioni poi risultate eccessive. Le parti hanno quindi considerato che gli aumenti pregressi coprissero anche il 2016.

Ciò detto, nel prossimo triennio l’inflazione sarà recuperata nelle retribuzioni dei metalmeccanici non più ex ante, ma ex post. In altri termini, a partire dal 1° giugno 2017 nelle buste paga dei lavoratori entrerà un aumento pari all’inflazione verificatasi nell’anno precedente, cioè nel 2016, misurata in base all’indice Ipca e rapportata ai minimi tabellari. Il salario minimo fissato dai vari livelli dell’inquadramento professionale crescerà dunque della stessa percentuale in cui, nell’anno precedente, è cresciuta l’inflazione.

Sindacalmente parlando, ciò significa due cose. Primo, che i minimi contrattuali, e con essi il contratto nazionale, hanno ancora un futuro davanti a sé; Federmeccanica ha infatti rinunciato alla sua proposta originaria che, di fatto, avrebbe portato a una cancellazione di tali minimi. Secondo, ciò significa che non esiste più il cosiddetto valore punto. In altri termini, gli effetti dell’inflazione verranno rapportati ai salari contrattuali e non più ai salari di fatto che, mediamente, sono più alti dei primi.

Infine, va ricordato che il meccanismo che abbiamo descritto per il 2017 sarà applicato anche al 2018 e al 2019, sempre nei rispettivi mesi di giugno.

In materia strettamente salariale, va poi detto che, con la retribuzione di marzo 2017, sarà corrisposta un’erogazione una tantum di 80 euro lordi.

Il grosso della crescita dei redditi dei metalmeccanici che dovrà realizzarsi nel triennio 2017-2019 non deriverà, però, da erogazioni salariali dirette, ma da altri meccanismi volti, appunto, a portare maggior reddito ai lavoratori con costi minori per le imprese. Si tratta del cosiddetto welfare contrattuale, di cui tanto si è parlato nel corso di questa trattativa.

In primo luogo, l’intesa odierna stabilisce che, a partire dal giugno del 2017, il contributo delle imprese al Fondo Cometa, quello dedicato alla previdenza complementare, passerà dall’1,6 al 2% delle singole retribuzioni, senza alcun contributo aggiuntivo a carico dei lavoratori. In prospettiva, ciò porterà a una crescita delle pensioni integrative.

In secondo luogo, a tutti i dipendenti metalmeccanici, nonché ai loro familiari (conviventi di fatto compresi), verrà riconosciuta l’assistenza sanitaria integrativa. Ciò a partire dall’ottobre del 2017. Secondo Federmeccanica, con un costo per l’impresa pari a 156 euro all’anno, ogni lavoratore si vedrà così assicurata una serie di prestazioni sanitarie integrative che, sul mercato assicurativo, potrebbero costargli qualcosa come 700 euro.

In terzo luogo, il nuovo contratto prevede l’introduzione di forme di welfare aziendale. Si tratta dei cosiddetti flexible benefits, ovvero di buoni spendibili per pagare asili nido, libri scolastici e altro. A tale voce, corrisponderanno erogazioni pari a 100 euro a partire dal giugno 2017, a 150 euro dal giugno 2018 e, infine, a 200 euro dal giugno 2019, per un totale di 450 euro nel triennio.

A ciò si aggiunge il riconoscimento del diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione permanente. Ciò significa che i dipendenti che non saranno coinvolti dalla propria azienda in specifiche attività di formazione professionale, avranno diritto – nel triennio – a 24 ore di formazione extra-aziendale per due terzi a carico delle aziende, con un contributo aziendale che potrà arrivare fino a 300 euro.

Tornando al salario, l’intesa prevede che i premi di risultato aziendali saranno totalmente variabili. Infine, va osservato che i sindacati sono riusciti a respingere l’offensiva delle imprese rispetto alla cosiddetta assorbibilità, negli aumenti dei minimi tabellari derivanti dall’inflazione, di altre voci retributive. In pratica, saranno assorbibili solo gli incrementi retributivi concessi a livello individuale a partire dal gennaio 2017, nonché gli elementi fissi collettivi della retribuzione previsti dalla futura contrattazione aziendale. Non assorbibili, invece, gli elementi retributivi legati alla prestazione (straordinari, lavoro notturno e festivo, ecc.).

Come speriamo di aver chiarito, la logica di questo accordo, cui le parti attribuiscono concordemente un valore sperimentale, è, se così si può dire, meno conflittuale e più cooperativa della tradizione metalmeccanica. Federmeccanica e Assistal hanno visto riconosciuta la loro idea che, allo scopo di proteggere o incrementare il reddito a disposizione dei lavoratori, fosse preferibile individuare modalità diverse dalle pure erogazioni salariali, che vengono colpite dall’imposizione fiscale. Da qui la scelta delle varie forme di welfare contrattuale che sono, invece detassate. A ciò si aggiunga che queste forme di welfare contrattuale, sempre nella visione delle imprese, dovrebbero servire anche a stabilire nuovi rapporti, più cooperativi, fra le aziende e i loro dipendenti. Un elemento, questo, su cui ha insistito Storchi, secondo cui un clima interno più cooperativo è fondamentale per consentire alle imprese di cimentarsi vittoriosamente nella competizione globale.

Redditi a parte, anche altri elementi di questa intesa contrattuale vanno nella stessa direzione. E’ questo, ad esempio, il caso dell’inquadramento professionale. Già in precedenti rinnovi le parti avevano deciso di formare delle commissioni incaricate di affrontare il compito riformulare una classificazione ferma agli anni 70. Ma poi tali commissioni non sono giunte a nessun risultato.

Adesso, però, c’è una novità. L’intesa odierna stabilisce infatti che, nel triennio 2017-2019, potranno essere sperimentate, a livello aziendale, nuove forme di inquadramento più ravvicinate a ruoli professionali che sono completamente o ampiamente mutati nel corso degli ultimi quarant’anni. Dopodichè, partendo da queste esperienze concrete, la nuova commissione dovrà elaborare una proposta che potrà essere inserita nel prossimo contratto.

A ciò si aggiungano forme innovative di partecipazione dei rappresentanti aziendali dei lavoratori alle attività di prevenzione volte a combattere la rischiosità e la insalubrità degli ambienti di lavoro, nonché un più ampio ruolo delle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), sempre a livello aziendale, nella gestione degli orari.

Insomma, ci pare di poter dire che, con questa intesa, il Contratto nazionale dei metalmeccanici torna ad acquisire un ruolo decisivo sia per le imprese del settore, che per i lavoratori in esse occupati. Ciò, in buona misura, dipende anche dal fatto che, dopo i rinnovi del 2009 e del 2012, che furono firmati da Fim e Uilm, ma non dalla Fiom, con l’accordo di sabato 26 novembre si è tornati a sancire un’intesa unitaria. E per avere una prima riprova di quanto sia cambiato anche il clima dei rapporti interni alla categoria, dopo le rotture degli anni scorsi, basti pensare che per giovedì 1° dicembre è stata fissata una riunione unitaria degli organismi dirigenti di Fim, Fiom e Uilm. Ciò allo scopo di effettuare una valutazione comune dell’intesa prima dell’avvio delle assemblee nei luoghi di lavoro.