Sfruttamento? Ci pensa Foodora! Intervista a un lavoratore in mobilitazione

foodora-2Sfruttamento? Ci pensa Foodora! Intervista con un lavoratore in mobilitazione

tratto da SUAG – Solo un altro giornalino, del 10 ottobre 2016

Sabato 8 Ottobre ha avuto inizio lo stato di agitazione dei lavoratori di Foodora Torino, il servizio di consegna a domicilio che copre diversi ristoranti della città attraverso l’utilizzo di fattorini (“rider” nel linguaggio dell’azienda…) che si muovono per lo più in bicicletta.  La giornata di mobilitazione è stata molto intensa, all’insegna dell’attivazione immediata, della solidarietà e di una sana voglia di rivalsa da parte dei lavoratori che lamentano scarsissime tutele lavorative a fronte di salari inadeguati. Nonostante le condizioni di lavoro estremamente individualizzanti, la partecipazione raccolta dai promotori della campagna #FoodoraETlabora è stata diffusa e variegata, riuscendo a infrangere anche l’apatia mediatica dei media ufficiali. Nonostante non fosse stato chiamato uno sciopero, durante la serata di Sabato 8 diversi ristoratori hanno deciso di non accettare ordinazioni da Foodora, i clienti hanno deciso di non utilizzare il servizio e i rider hanno deciso di non lavorare per aderire alla mobilitazione.

Per capire meglio come è nata la protesta dei lavoratori di Foodora abbiamo parlato con uno dei promotori della campagna:

Ci puoi raccontare in breve come è nata la protesta dei rider di Foodora? Leggendo i vostri comunicati emerge un quadro piuttosto desolante rispetto alle condizioni retributive ma anche rispetto alla più basiche tutele per quanto riguarda contributi, spese mediche, ferie e obblighi contrattuali… Quali sono le vostre rivendicazioni più immediate e rispetto a quali istanze ritenete che Foodora non possa più permettersi di ignorare la vostra protesta?

La nostra protesta nasce sicuramente per caso. L’estrema individualizzazione cui siamo sottoposti unita alla praticamente assente formazione ci hanno paradossalmente messi in contatto e via via uniti. C’era la necessità di aiutarsi. Solo successivamente abbiamo cominciato a confrontarci. Quando l’azienda ha cominciato a zittire ogni tipo di obiezione personale abbiamo banalmente pensato che se avessimo parlato tutti insieme ci avrebbero ascoltato, così ha avuto inizio la ricerca di modalità collettive volte a porre questioni alla direzione senza ritorsioni personali. Ci siamo organizzati con un gruppo su whatsapp. Buttavamo dentro tutti quelli che incontravamo in giro durante i turni vestiti di rosa. Abbiamo scritto una lettera dai toni molto cordiali e ci siamo fatti in 4 per raccogliere 90 firme ed ottenere un incontro formale con Cocco, l’AD di Foodora Italia, il quale ci ha incontrati dopo 4 settimane di rinvii e scuse. Le richieste vertevano su 4 punti: aumento degli stipendi, convenzioni per la riparazione delle nostre bici, sim aziendali e organizzazione generale del lavoro. L’incontro è finito con vaghe promesse su riparazioni per le bici e un rimborso forfettario per le spese telefoniche. Gli stipendi erano intoccabili (5 euro l’ora) in quanto il delicato equilibrio economico di Foodora era stato raggiunto. A settembre ci siamo ritrovati con le promesse non mantenute e delle assunzioni di nuovo personale in massa pagato con una nuova formula: 2,70€ a consegna, senza un fisso che garantisca di essere pagati per i tempi morti. Al che abbiamo deciso di intraprendere i contatti sindacali e richiedere un incontro tramite loro. Venerdì 7 ottobre è scaduto il termine di 7 giorni che avevamo dato all’azienda senza ricevere una risposta, allora abbiamo dichiarato lo stato di agitazione. Quello che è successo il giorno successivo lo trovate su tutti i giornali. Sostanzialmente vogliamo un fisso orario che rispetti gli standard sindacali nazionali, un eventuale bonus sul numero di consegne effettuate e la garanzia di poter lavorare un minimo durante il mese, contro l’estrema flessibilità a cui siamo sottoposti.

A quanto ho capito la vostra condizione contrattuale è, in un certo senso, studiata apposta perché la figura del rider possa essere rimpiazzata di continuo praticamente senza conseguenze legali sull’azienda. Come pensate di reagire nel caso in cui Foodora decidesse, come extrema ratio, di licenziare tutti coloro che hanno preso parte alla protesta in modo da “eliminare” il fastidio una volta per tutte?

Il nostro è un Contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co) secondo il quale siamo considerati quasi dei liberi professionisti anziché dipendenti dell’azienda. Il nostro rapporto sussiste di volta in volta per il turno orario stabilito. Nulla li obbliga ad assegnarci turni, quindi invece che rescindere il contratto possono semplicemente limitarsi a non assegnarci più turni fino alla sua naturale scadenza. Questo fa anche sì che loro assumano molto personale di riserva a costo zero da utilizzare nel caso di necessari turnover repentini.  Dubito che l’azienda sia così stupida da ricorrere a licenziamenti di massa, vista la forza di mobilitazione che siamo riusciti a mettere in campo e vista la solidarietà che abbiamo raccolto a piene mani da qualsiasi direzione. Resta il fatto che se dovesse esserlo non esiteremo a rilanciare una mobilitazione ancora più dura e parallelamente a seguire una vertenza collettiva per vie legali. Secondo i nostri consulenti infatti il contratto contiene molti illeciti, oltre al fatto che ci sono parecchie prove che testimoniano il nostro essere a tutti gli effetti dipendenti e non collaboratori.

Secondo me una protesta di questo tipo è doppiamente importante perché mette in crisi – forse per la prima volta in Italia – l’immaginario renziano di un superamento del lavoro salariato tradizionale a favore di aziende 2.0 e start-up fortemente incentivate da leggi come il Jobs Act. Ovviamente è una retorica che tenta di silenziare le condizioni di ultraprecarietà a cui vengono sottoposti i lavoratori di queste aziende e che cerca di mettere sullo stesso piano datori di lavoro e dipendenti partendo da un presupposto anagrafico/generazionale secondo cui “tutti i giovani sono uguali”. Voi avete dimostrato che ciò non è realistico, e che anche all’interno di un piano di iniziativa professionale di questo tipo esistono sfruttati e sfruttatori. Secondo te è auspicabile che una lotta di questo tipo investa anche altri settori e altre aziende del mercato del lavoro precario?

Assolutamente si. L’obiettivo che ci siamo posti, oltre al cambiamento della nostra condizione lavorativa, è quello di rifiutare un modello di sfruttamento che trascende in modo trasversale tutte le realtà lavorative odierne. Co.co.co., voucher e lavori gratuiti sono oggi per la stragrande maggioranza le uniche forme di lavoro che si possono trovare. Probabilmente io e altri come me, una volta ottenute condizioni migliori, non resteremo neanche in Foodora. Quello che ci siamo detti però è stato “se per l’ennesima volta lasciamo questo lavoro per cercarne un altro, non potremo che trovare un altro lavoro di merda, lasciato a sua volta da qualcun altro e così via”. Allora abbiamo deciso di agire, e invitiamo tutti ad alzare la testa e dire basta.

La vostra mobilitazione, tra l’altro, ha suscitato molto interesse mediatico e ha raccolto un’immediata solidarietà tra studenti e lavoratori di Torino. In che modo si può aiutare concretamente la campagna #FoodoraETlabora e partecipare alle vostre iniziative? Come pensate di proseguire la vostra mobilitazione?

Marketing e cura della propria immagine sono per Foodora la prima preoccupazione e voce di spesa. Abbiamo deciso di colpirli proprio lì dove sono più sensibili e attenti, perciò abbiamo chiesto e chiediamo non tanto di non ordinare con Foodora (anche) ma soprattutto di far intendere loro che migliaia di persone sono attente a questa questione. I commenti sulla loro pagina facebook e le telefonate al servizio clienti sono degli ottimi strumenti che ad ora stanno funzionando. Per il resto chiediamo che sia tenuta alta l’attenzione mediatica affinché non scompaia tutto come è iniziato tra pochi giorni. Seguite la pagina facebook Deliverance Project e condividete, passate la voce e partecipate alle iniziative pubbliche che sicuramente convocheremo.    

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Comunicato stampa dei Rider di Foodora sullo stato di agitazione

Siamo i rider di Foodora. Le ragazze e i ragazzi che vi portano da

mangiare con le bici e con i motorini, sia quando si muore di caldo sia

quando piove a dirotto. Siamo quelli che a Milano e a Torino vedete

vestiti di rosa.

Dietro i nostri sorrisi, i nostri “grazie” e i nostri “buona cena,

arrivederci”, si cela una precarietà estrema e uno stipendio da fame. Le

decine di chilometri che maciniamo ogni giorno, i rischi che corriamo in

mezzo al traffico, i ritardi, la disorganizzazione, i turni detti

all’ultimo momento, venivano ripagati con 5 miseri euro all’ora, mentre

adesso addirittura vengono pagati 2,70 euro per ogni consegna

effettuata, senza un fisso, con l’ovvia conseguenza che tutto il tempo

in cui non ci sono ordini non viene pagato, quindi è a tutti gli effetti

tempo regalato all’azienda.

A corredo di ciò a nostro carico ci sono pure la bici, lo smartphone e

le spese telefoniche, gli strumenti essenziali del nostro lavoro.

Il nostro contratto è una sorta di Co.co.co fatto male, una forma

contrattuale superata ormai da anni che definisce una collaborazione tra

un’azienda committente e un libero professionista.

Tuttavia noi rider siamo a tutti gli effetti dipendenti di Foodora:

costretti ad indossare la loro divisa, sottoposti a rapporti gerarchici,

in balia delle loro decisioni e sottoposti a delle valutazioni per cui

se non siamo accondiscendenti nei loro confronti ci vengono dati meno

turni.

Non essendo ufficialmente dipendenti non abbiamo ferie, tredicesima,

contributi, accesso ai sussidi di disoccupazione e soprattutto non

abbiamo LA MALATTIA!!! Una misera assicurazione ci copre spese mediche

per incidenti sul lavoro, ma se stiamo male e non possiamo lavorare, se

ci facciamo male mentre lavoriamo e dobbiamo stare a casa, non veniamo

pagati.

Tutto ciò è inaccettabile, perciò è da mesi che cerchiamo pacificamente

e cordialmente di parlare con i responsabili di Foodora Italia,

ottenendo in cambio solo grandi prese in giro. Di fronte all’ennesimo

inasprimento delle condizioni di lavoro abbiamo deciso di aprire alla

strada sindacale, chiedendo un incontro formale con i rappresentanti

sindacali. Anche a ciò non ci è stata data risposta, anzi, hanno

spacciato le nostre richieste di dialogo come tentativi di rivolta,

arrivando a fare mobbing nei confronti di due promoter colpevoli di aver

espresso la loro solidarietà, non assegnandole più turni e impedendo

loro di lavorare.

Per queste ragioni dichiariamo da questo momento lo stato di

agitazione. Come lavoratori di Foodora cercheremo di portare la nostra

protesta ovunque possa avere peso e visibilità, ed in quest’ottica

chiediamo la solidarietà dei cittadini. Non ordinate da Foodora, non

consigliatela e se potete chiamate il servizio clienti o fatevi sentire

sulla loro pagina facebook.

#foodoraETlabora #cipensafoodora

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stampa dei Rider di Foodora sullo stato di agitazione