Loi Travail: quello che attende i lavoratori con l’approvazione della legge

approvata Loi Travail 3Traduzione a cura di Sial Cobas

Articolo di Rachida El Azzouzi e Mathilde Goanec, da Mediapart del 23 luglio 2016

Dopo cinque mesi di contestazione sociale e un terzo ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione (che permette di approvare una legge senza voto in Parlamento), la legge sul lavoro (Loi Travail) è stata definitivamente approvata giovedì 21 luglio. Malgrado varie concessioni, il governo non è arretrato sugli aspetti essenziali della legge.

Pubblichiamo un’analisi svolta da Mediapart, sito francese di informazione indipendente, su quale sia la versione finale del testo e quali le misure effettivamente adottate.

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Attraverso i vari passaggi parlamentari la Loi Travail ha cambiato faccia più volte. E’ stata definitivamente adottata il 21 luglio 2016. Il grosso delle modifiche risale tuttavia all’inizio del dibattito parlamentare: la bozza del progetto di legge, realizzata dalla Ministra Myriam El Khomri, è stata livellata una prima volta sotto la pressione congiunta dei sindacati e della società civile.

La Commissione degli Affari Sociali dell’Assemblea, teatro di uno scontro destra-sinistra, ma soprattutto sinistra-sinistra ha poi eliminato dal testo altri passaggi molto contestati.

Non si è tuttavia arrivati a modificare il cuore della riforma, ovvero l’inversione della gerarchia delle norme, né alcune delle sue disposizioni come i licenziamenti economici, gli accordi offensivi, la medicina del lavoro o il referendum aziendale.

A giugno, durante il passaggio della legge al palazzo di Lussemburgo (il Senato), i Senatori hanno tentato il colpo di mano e il governo ne ha approfittato per agitare lo spauracchio del ritorno della destra al potere: soppressione tout court delle 35 ore, soglie sociali rialzate, apprendistato a 14 anni…Tutto questo verrà escluso con il ritorno del testo all’Assemblea Nazionale, a inizio luglio.

Fin dall’inizio, la questione degli straordinari ha creato molta discussione, perché rende tangibile l’inversione della gerarchia delle norme. Un ultimo tentativo per mantenere una maggiorazione del 25% degli straordinari è stato abbozzato alla fine dell’iter parlamentare, senza però ottenerlo.

Tutte queste discussioni, accordi dietro le quinte e trattative hanno avuto luogo sotto la pressione delle piazze. Cinque mesi di contestazione sociale, con 12 giornate di manifestazione e un grande 1° maggio non sono bastate a far arretrare l’esecutivo, determinato a far passare con la forza questo testo, sul quale lui stesso ammette di non avere mai avuto la maggioranza. Tre ricorsi consecutivi all’articolo 49.3 hanno impedito ai parlamentari dei due emicicli di votare.

Mediapart spiega nel dettaglio i punti chiave del testo appena adottato.

1) Una nuova ossatura per il Codice del Lavoro

I passaggi di andata e ritorno in Parlamento si giocavano intorno ai 61 principi del rapporto Badinter. Si tratta di un nucleo di principes fondamentaux del diritto del lavoro, non derogabili dagli accordi collettivi, in quanto posti a tutela di beni giuridici di estrema rilevanza, quali ad esempio la dignità, la riservatezza ma anche il salario minimo garantito (“Smic”), tali, quindi, da esigere un’applicazione uniforme per tutti i lavoratori. Questi grandi principi dovranno servire a guidare l’azione della commissione di esperti e di “professionisti delle relazioni sociali” incaricati di proporre al governo una rifondazione della parte legislativa del Codice del Lavoro da qui al 2018.

 

Il governo vuole realizzare una riforma del Code du Travail, il corpus legislativo in materia di lavoro, la cui idea portante è la derogabilità delle norme legislative ivi previste da parte dei contratti collettivi, operando un’ampia delegificazione del settore.

Questa commissione si è arricchita , nel corso del tempo e sotto la pressione dei parlamentari socialisti, della presenza dell’Alto Consiglio del dialogo sociale, che dovrà contribuire con una “riflessione collettiva sulla rifondazione del Codice del Lavoro”.

La commissione dovrà determinare quali trasformazioni verranno approntate nel lungo periodo all’insieme del Codice del Lavoro, della legge, della negoziazione collettiva o delle disposizioni suppletive (per esempio la decisione unilaterale del datore di lavoro o la consultazione delle istituzioni). Questo lavoro è già stato fatto per tutta la parte del Codice dedicata all’orario di lavoro, provocando le proteste che conosciamo. La destra, in commissione affari sociali al Senato, come all’Assemblea, ha denunciato a più riprese “questo modo di fare di destra” con esperti, ma senza parlamentari…

2) Ruolo dell’impresa, della categoria, della legge

La Loi El Khomri riafferma, nel primo articolo del testo, “il ruolo centrale della negoziazione collettiva” e dunque dell’accordo aziendale nel codice del lavoro.  E’ un nuovo paradigma per il diritto francese, fondato finora sul “principio di favore” (in una disputa sul lavoro, vale la norma più a favore del lavoratore, parte debole nel confronto). Ma l’accordo d’impresa aveva già fatto la sua entrata dalla finestra dopo l’adozione della legge sulle 35 ore e le leggi Fillon. Per placare le critiche, i legislatori hanno sfumato le loro proposte: in assenza di accordo aziendale, il diritto “positivo” deve essere applicato “salvo qualora necessario a fini di semplificazione”. Tutto il grimaldello politico è contenuto in questa frase. La semplificazione può comportare una regressione delle conquiste sociali?

Gli accordi collettivi, un tempo centrali, restano predominanti solo in quattro aree: il salario minimo, i livelli di qualifica, la protezione sociale complementare e il contributo alla formazione professionale. Grazie ad un emendamento, introdotto in seconda lettura all’Assemblea nazionale, sono stati messi altri due vincoli di categoria nel campo dell’uguaglianza professionale uomo-donna e della prevenzione nei lavori usuranti. Per i detrattori della legge, questa aggiunta dell’ultimo minuto è la prova che il rischio di un’inversione della gerarchia delle norme è assolutamente reale nel nuovo Codice del Lavoro.

3) Orario di lavoro

Cuore della riforma, al centro del dibattito, è la riforma dell’orario di lavoro. Modulazione dell’orario, maggiorazione degli straordinari, sanzioni, rimane quanto deciso nella prima bozza del testo di legge. L’unica concessione ottenuta rispetto al testo originario: gli organi di rappresentanza saranno consultati in caso di superamento della durata massima settimanale di lavoro “dovuta a circostanze eccezionali”, ossia delle 60 ore settimanali. Il datore di lavoro non potrà più sottrarsi alla sua responsabilità nel caso in cui il lavoratore non prendesse i suoi giorni di congedo. La brevità del congedo previsto dalla legge El Khomri nel caso di lutto di un figlio aveva provocato un enorme turbamento. Michèle Delaunay ha corretto il tiro per evitare lo scandalo. Il vecchio ministro socialista ha proposto e ottenuto di portare da due a cinque giorni la durata del congedo eccezionale in caso di decesso di un figlio e  che nessun accordo aziendale o di categoria possa prevedere una soglia inferiore. Nello stesso modo, gli aspetti più controversi del testo, come l’aumento della durata dell’orario di lavoro di notte o il ricorso facilitato al tempo parziale sono stati esclusi via via.

In sostanza, accordi peggiorativi rispetto a quelli di categoria sono possibili su una grande parte della durata dell’orario di lavoro: la remunerazione degli straordinari, le pause e il tempo di cambio tuta, l’introduzione di sanzioni pecuniarie, il superamento della durata di lavoro quotidiana (fino a 12 ore), il superamento dell’orario di lavoro settimanale, la deroga sulla durata minima del riposo giornaliero, la messa in campo del tempo parziale, i permessi pagati, i termini di preavviso, i giorni festivi non lavorativi, la durata dei congedi speciali….

Il solo vero dibattito è girato attorno agli straordinari, argomento capace di mobilitare le piazze e la cui maggiorazione potrà venire drasticamente ridotta, in caso di accordo aziendale, fino al 10%. Alcuni deputati socialisti hanno fatto un tentativo disperato al momento dell’ultimo passaggio del testo all’Assemblea: Olivier Faure ha anche depositato un emendamento , firmato da più di 120 sui colleghi, che proponeva di mantenere nella legge il tasso di maggiorazione delle ore di straordinario al 25%. Il primo ministro non ne ha voluto sapere e il testo è passato così com’era.

La Loi Travail riconosce un diritto alla disconnessione, chiedendo alle imprese di rispettare i congedi pagati e i tempi di riposo. Ma queste misure saranno negoziate tra i rappresentanti del personale, i rappresentanti sindacali e la direzione d’impresa.

4) Licenziamenti economici

Una parte dell’articolo 30, diventato articolo 67 nella versione finale, consacrato ai licenziamenti economici è saltata. Questo fatto rassicura parzialmente i sindacati: il perimetro della valutazione, da parte del giudice, della plausibilità del motivo economico del licenziamento si riferirà all’intero gruppo societario e non alla situazione degli stabilimenti impiantati in Francia come prevedeva il governo, che voleva esaudire in quel modo uno dei desideri più cari al patronato “in nome dell’attrattività”. Si trattava di uno dei punti più controversi della legge. Ed è sotto la pressione del relatore del testo, Christophe Sirugue, in commissione affari sociali, che questo stravolgimento delle regole e questa rimessa in questione della giurisprudenza sono state alla fine rigettate nel corso della prima lettura all’Assemblea Nazionale.

Ma l’articolo 67 resta pericoloso agli occhi dei sindacati, perché facilita maggiormente i licenziamenti, facendo dell’abbassamento degli ordinativi e del giro d’affari, in rapporto allo stesso periodo dell’anno precedente, dei criteri di licenziamento.

Concretamente, l’applicazione di questi criteri dipenderà dalla grandezza dell’impresa: abbassamento della cifra d’affari pari almeno a un trimestre per quanto riguarda una società con meno di 11 lavoratori; due trimestri consecutivi per una società da 11 lavoratori a meno di 50; tre trimestri consecutivi per un’impresa da 50 a meno di 300 dipendenti e quattro trimestri consecutivi per una società con almeno 300 dipendenti. Questa norma potrebbe essere bocciata dal Consiglio Costituzionale in quanto stabilisce una disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge (i lavoratori delle grandi imprese sarebbero più protetti).

5) Referendum aziendale

Il referendum aziendale, idea cara al padronato, che finora ha avuto solo un valore consultivo, eccetto in casi particolari come la compartecipazione agli utili, viene elevato a sacro dogma dall’articolo 21. Se l’accordo aziendale non è maggioritario, (ovvero non è appoggiato da sindacati che rappresentano più del 50% dei lavoratori alle elezioni professionali) i sindacati minoritari (con più del 30%) potranno chiedere una consultazione dei lavoratori per convalidare l’accordo. Ad eccezione della CFDT, tutti i sindacati si sono erti contro questa misura e contavano sui deputati e sul dibattito parlamentare – che però non ha avuto luogo – per allontanare questa misura. Invano. Si tratta di un capovolgimento storico delle regole del dialogo sociale, camuffato con un argomento populista: fare posto alla democrazia diretta piuttosto che alla democrazia rappresentativa, permettere ai lavoratori di avere più voce in capitolo.

“Si rende possibile la messa in questione di un accordo maggioritario per far passare la posizione di sindacati che rappresentano una minoranza. Si tenta di contrapporre due fonti di legittimità – sottolinea la sociologa del lavoro Dominique Méda. Il problema, lo sappiamo e l’abbiamo vista in varie occasioni, è che i lavoratori sono più sensibili al ricatto del lavoro e sono più disposti dei sindacati ad accettare la messa in discussione delle condizioni di lavoro per paura di ritrovarsi disoccupati”.

Inizialmente questa nuova regola sarà applicata alla questione del tempo di lavoro prima di essere estesa agli altri capitoli del Codice del Lavoro, man mano che saranno riscritti. Con il rischio di creare una frattura tra sindacati e lavoratori, e tra i lavoratori stessi all’interno delle aziende, come è successo lo scorso autunno nella fabbrica Smart di Moselle, filiale della casa di produzione automobilistica tedesca Daimler. “Si aggiunga a questi rischi quello legato alla formazione e alla competenza degli attori. L’accordo collettivo è un dispositivo di norme talvolta molto complesso, sia per il suo contenuto che per i suoi effetti (per esempio per quanto riguarda la rottura del contratto di lavoro); non è facile riassumerlo in modo semplice e conciso per sottoporlo ai lavoratori con un quesito referendario, tenendo conto che la maggior parte di questi ultimi non hanno la formazione e l’esperienza dei delegati sindacali per rispondere con effettiva cognizione di causa”, spiega lo specialista del diritto del lavoro Pascal Lokiec.

6) Accordi offensivi

E’ una delle vittorie più emblematiche del padronato. Sotto Nicolas Sarkozy, la confindustria aveva ottenuto gli accordi di  « compétitivité emploi » (competitività impiego), ridefiniti sotto Hollande “accordi di mantenimento nell’impiego” (nella prima riforma del mercato del lavoro, gennaio 2013).

Prevedevano la possibilità di ridurre l’orario di lavoro e/o lo stipendio per un periodo fino ai due anni per evitare i licenziamenti “in caso di gravi difficoltà congiunturali”. Il periodo è stato protratto a cinque anni dalla Legge Macron di luglio 2015). Tutto questo a condizione che i sindacati rappresentanti una maggioranza dei lavoratori l’accettino o,  in loro mancanza, l’amministrazione, e che una clausola preveda la ripartizione dei profitti una volta che l’azienda torna a crescere. L’obiettivo è di evitare la soppressione dei posti di lavoro. I lavoratori che rifiutano vanno incontro ad un licenziamento economico individuale contro cui non è possibile fare ricorso in tribunale.

La Legge El Khomri accentua la flessibilità e il rischio del ricatto del lavoro. Essa ribattezza gli accordi detti di «maintien dans l’emploi » (mantenimento dell’impiego) in accordi «en vue de la préservation ou du développement de l’emploi » (in vista della conservazione o dello sviluppo dell’impiego), sempre con lo stesso principio di modulazione dell’orario di lavoro e dei salari attraverso un accordo maggioritario dei sindacati. Il padronato, che non trovava il dispositivo  abbastanza vincolante – « offensivo» per usare un suo termine – (da qui il successo molto limitato di questo simbolo della “flexsecurity”, che non ha convinto che una decina di imprenditori, essenzialmente delle PME – Piccole medie imprese) vede di nuovo esauditi i suoi desideri. Ottiene infatti, con l’articolo 22, un considerevole allargamento dei criteri secondo i quali è possibile firmare un accordo in deroga integrandovi il pretesto dello “sviluppo dell’impiego”.

I lavoratori che rifiuteranno questi accordi saranno licenziati per “motivo specifico che costituisce una causa reale e seria”. Beneficeranno di un “percorso di accompagnamento personalizzato”, svolto dall’Ufficio di Collocamento e finanziato principalmente dallo Stato.

Ciò nonostante questo articolo non risulta meno temibile. Si dichiara che questi accordi s’imporranno ai contratti di lavoro senza poter “diminuire lo stipendio del lavoratore”, ma si tratta di una falsità. “Se il datore di lavoro aumenta la durata dell’orario di lavoro, senza aumentare i salari, di fatto si tratta di un abbassamento del salario…Quindi, oggi, si può mettere nel preambolo di un accordo sui congedi, sulle reperibilità la frase “in vista di un accordo per mantenere l’occupazione” e cambiare le regole come si vuole”  – spiega il giurista Pascal Lokiec. Se il salario mensile “non potrà essere diminuito”, altri elementi di remunerazione (premi etc) possono essere rivisti al ribasso o soppressi.

7) Apprendistato

Le modifiche al Senato, che non cambiano quasi per nulla la prima versione del testo di legge presentato dai socialisti, sono state smontate durante l’ultimo passaggio all’Assemblea, come quella che prevedeva l’entrata in un ciclo di apprendistato all’età di 15 anni. Gli apprendisti dovranno conformarsi alle regole in vigore, ossia 35 ore a settimana e 8 ore al giorno, salvo esplicita autorizzazione da parte dell’ispezione del lavoro. Nella prima versione del testo si prevedeva di arrivare a 10 ore di lavoro al giorno (anche per un minore) e di poter superare le 35 ore settimanali.

8) Molestie

Assemblea, Senato, tutti si sono trovati d’accordo nell’indurire l’apparato giuridico in materia di molestie sessuali, stranamente più lieve rispetto alle molestie per discriminazione. Fino ad ora il lavoratore/trice molestato/a sessualmente doveva, in sede processuale, “stabilire i fatti che permettono di presumere l’esistenza di una molestia”: una maniera più rigorosa di formulare l’accusa rispetto a quanto richiesto in caso di molestia per discriminazione, per la quale viene richiesto solo di presentare “degli elementi di fatto che lasciano supporre l’esistenza” di una molestia. Sottigliezze lessicali che permettevano ai datori di lavoro accusati al tribunale prudomale (del lavoro) di far valere, per avere la meglio, la necessità di provare dei “fatti” al posto di “elementi di fatto”.

In caso di licenziamento, poi di vittoria al tribunale prudomale, il datore di lavoro dovrà anche rimborsare all’Ufficio di Collocamento le indennità di disoccupazione versate al lavoratore. L’indennizzo  a seguito di una sentenza che ha per motivo la discriminazione, la discriminazione sessuale, la gravidanza o la situazione familiare non potrà essere minore ai salari degli ultimi sei mesi. Inoltre, una seconda modifica al testo impone ora ai Comitati di Igiene, Sicurezza e Condizioni di Lavoro (CHSCT) di partecipare sistematicamente alla prevenzione dei comportamenti sessisti e di assicurarsi che vengano considerati e normati nel regolamento aziendale interno.

Ricordiamo che in una recente sentenza della Corte di Cassazione francese (Cass.soc, 01.06.16, n°14-19702.) si è stabilito che un datore di lavoro che dimostra di aver preso le misure preventive e correttive in materia di molestia e mobbing può essere sollevato dalla sua responsabilità qualora vengano riscontrati questi fatti.

Infine, una proposta di legge depositata da Dominique Orliac e adottata all’unanimità dall’Assemblea nazionale è rientrata nel testo: la durata del periodo legale di protezione contro il licenziamento per le madri al termine del loro congedo di maternità passa da quattro a dieci settimane. L’estensione di questo periodo di protezione si applica anche al secondo genitore, che ne beneficia a partire dalla nascita del bambino, così come i genitori adottivi.

9) Medicina del lavoro

Nonostante tutti gli appelli lanciati dai medici del lavoro e il campanello d’allarme suonato da tutti i sindacati (e anche dal Consiglio dell’Ordine) il testo è rimasto quello del progetto di legge iniziale. La maggior parte dell’attività viene spostata sugli infermieri e vengono ridotti drasticamente gli obblighi di visita medica. Nel suo articolo 44, il progetto prevede di sopprimere la visita medica all’assunzione, eccetto per alcuni di lavori a rischio. Prevede anche visite mediche ogni cinque anni (contro gli attuali due anni) e sopprime l’arbitraggio dell’ispettore del lavoro in caso di contestazione del parere del medico del lavoro. Unica nota positiva: i deputati hanno leggermente migliorato il testo nella parte che riguarda la sorte dei lavoratori dichiarati non idonei. Il perimetro per tentare di ricollocarli dovrà andare al di là dell’impresa ed estendersi a tutto il gruppo.

10) Mandato sindacale

Si tratta di una delle sconfitte più amare di Pierre Gattaz, il capo del Medef, la Confindustria francese. L’ultima versione della legge sul lavoro comporta una novità: il mandato sindacale obbligatorio. Ormai, adesso, in mancanza di accordi collettivi – e si tratta di un caso frequente nelle piccole aziende senza rappresentanza sindacale, un lavoratore potrà essere incaricato da un’organizzazione sindacale a negoziare. Questa misura è una vittoria specialmente per la CFDT, che chiede da molti anni questo “mandato”, cavallo di Troia sindacale per il sindacato diretto da Laurent Berger. Altri rafforzamenti per il sindacato: l’aumento del 20% delle ore di permesso per i delegati sindacali, la protezione delle Camere del Lavoro, dalla minaccia di sfratto (se una collettività ritira ad un’organizzazione sindacale dei locali messi a sua disposizione senza proporle un altro locale, questo apre al “diritto ad un’indennità specifica”) e l’instaurazione di un’istanza di dialogo sociale per tutta la rete societaria che conta più di 300 dipendenti. Queste due ultime misure non sono passate tra le fila della destra, che ha fatto ricorso al Consiglio Costituzionale nella speranza di farle invalidare.

11) garanzia giovani e aiuto alla ricerca del primo impiego

Il testo generalizza la garanzia giovani. Per calmare l’opposizione sociale, Manuel Valls aveva fatto come se questa norma, presentata come risposta alla disperazione dei giovani disoccupati, fosse uscita dal suo cappello.

Ma la misura, sperimentata dal 2013, era di già al centro dei programmi sbandierati da Myriam El Khomri quando è diventata Ministro del Lavoro. La sua generalizzazione nel 2017 era già in programma. Attualmente 50mila giovani dai 18 ai 25 anni, poco scolarizzati, che non seguono nessun corso di studi o di formazione, beneficiano di questo aiuto di 461 euro al mese per un anno e di un accompagnamento personalizzato per un ritorno all’impiego. L’obiettivo è di salire a 100mila garanzie giovani da qui alla fine del quinquennio, senza tuttavia dare spiegazioni più precise sulle modalità di finanziamento. L’articolo 50 prevede inoltre per i minori di 28 anni diplomati da meno di quattro mesi la creazione di un aiuto finanziario alla ricerca del primo impiego, accordato per quattro mesi, a seconda delle risorse. Il suo ammontare però non è precisato.

12) Conto personale d’attività

Il CPA (compte personnel d’activité) doveva essere la riforma sociale faro del quinquennio Hollande. Un segno politico forte come l’RMI di Rocard o la CMU di Jospin. Ne è ben lontano. Nessuno sa ancora come il Conto Personale d’Attività entrerà in azione dal punto di vista operativo, ma i suoi contorni si delineano maggiormente. La sua prima versione, illustrata lo scorso febbraio, ne aveva fatto uno strumento minimo. Si trattava di una semplice compilazione di due conti esistenti, il conto dell’usura dovuta al lavoro svolto (C3P) e il conto personale di formazione (CPF). A metà marzo, di fronte all’opposizione sociale di grande ampiezza e sperando di tirare dalla sua parte la CFDT e qualche organizzazione della gioventù, Manuel Valls ha acconsentito ad arricchire il dispositivo mirando ai giovani e ai non diplomati. Il CPA raggrupperà, a partire dal 2017, il conto personale di formazione (CPF), il conteggio dell’usura del lavoro (C3P) e un nuovo “conto di impegno civico” che sarà aperto ai pensionati. Il tetto del CPF sale da 150 a 400 ore per i lavoratori senza diploma.

13) Fattore religioso

Si pensava chiuso il dibattito, ma si è riaperto in dirittura d’arrivo: l’articolo 1° bis A del progetto di Legge prevede che le aziende potranno adottare un regolamento interno che impone ai loro dipendenti di osservare “un principio di neutralità” nei loro locali e “di ridurre la manifestazione delle convinzioni dei lavoratori”. Il testo non lo precisa esplicitamente, ma ha di mira le fedi religiose e intende permettere la proibizione di qualsiasi riferimento e di qualsiasi segno religioso in un’azienda. C’è una grossa probabilità che l’articolo risulti contrario alla “Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del diritto comunitario”.